finali
Il finale non era semplice; per Quintavalle, PPP non sapeva più tirarne le fila. I finali immaginati sono quattro; una bandiera rossa, Marzabotto, un boogie woogie e quello effettivo. Pasolini già durante la lavorazione sul set aveva due idee che poi bocciò. In primis voleva chiudere Salò con una grande bandiera rossa sullo schermo con la scritta È amore. Quintavalle gli fece notare che così finiva Yellow Submarine’68 dei Beatles di Dunning e la ripresa venne spostata all’inizio. Il secondo finale era il ballo del boogie woogie di tutta la troupe del film (inclusi tecnici, macchinisti e Pasolini, ma esclusi i quattro carnefici) nella sala delle orge, zeppa di bandiere rosse, prestate da una sezione vicina del Pc. A parte una sarta, nessuno però sapeva ballare il boogie-woogie; ne venne una tarantolata generale. L’unico momento di allegria fu il finale ballo collettivo di boogie woogie che smorzava la tensione accumulata durante le riprese, dove tutti ballavano e si lasciavano andare. La scena non fu mai montata perché contenuta nei negativi rubati. Il terzo finale, che venne effettivamente girato, vedeva i quattro aguzzini lasciare la villa degli orrori dopo il massacro mentre si dicevano, tra ciniche risate, che il loro operato sarebbe stato giudicato infame e mostruoso; all’apparire oltre i finestrini dell’auto, di un cartello con l’indicazione Marzabotto, chiaro riferimento alla strage di civili, si consolavano paragonando gli stermini di milioni di persone con la pochezza delle sevizie e della morte subita da venti giovani per mano loro. La gente avrebbe ricordato solo gli orrori più grandi. Era una confusione per lui inestricabile, senza via d’uscita, dopo le bandiere rosse, il boogie-woogie e le disquisizioni piuttosto ambigue risultando ancor più disgustoso sullo schermo. Il rischio reale del finale, considerato poi insoddisfacente, era di offendere la memoria dei morti per rappresaglia di Marzabotto, il cui numero non era paragonabile al sistema dei lager. Il finale effettivo fu il riutilizzo di una scena cinica minore tratta dal girone del Sangue, dopo le spiate dei ragazzi che selezionano per gli aguzzini le vittime della carneficina finale. Adottò alla fine una soluzione di ripiego, dando un risvolto elegiaco a una scena del prefinale del film. Le torture e le uccisioni che concludono l’orgia avvengono in un cortile. A turno uno dei signori esegue, due lo assistono, e il quarto contempla da una finestra con un binocolo. Durante il mio (di Quintavalle) turno di voyeurismo, due dei giovani marò, con me nella sala, ascoltando alla radio un programma di canzonette e, mentre io mi sdilinquisco, si mettono a ballare insieme al ritmo di valzer,.. indifferenti a quell’orrore che succede intorno a loro. La scenetta diventò la chiusa finale con l’aggiunta successiva di un dialogo tra i giovani militari, Hai il ragazzo? Sì, si chiama Margherita. Calava il sipario sull’orgia di sodomie, coprofagia, umiliazioni, torture e morte.
no war
PPP, classe ’22, aveva vissuto tutta la guerra e dall’osservatorio privilegiato friulano, dove per esempio esisteva l’importante campo di transito triestino di Risiera San Saba. Dalla fine del ’42, la famiglia Pasolini, impaurita dai bombardamenti di Bologna, si era trasferita nel paese della signora Colussi in Pasolini, Casarsa della delizia. In realtà Casarsa venne distrutta totalmente dai bombardamenti e la famiglia si trasferì nella frazione di Versuta, quella della fontana di rùstic amòur. Il Friuli era stato annesso al III Reich come Litorale Adriatico, ma non Pordenone, nella cui provincia insistevano questi luoghi pasoliniani. Arrivarono anche i cosacchi per un annoe PPP scrisse un dramma in friulano sull’invasione dei Turchi in Friuli del 1499. Poi il fratello Guido aderì ai partigiani bianchi, mentre premeva l’invasione titina, sostenuta dai partigiani comunisti che nell’episodio di Porzius lo fucilarono. Pasolini sarà segretario della sezione comunista del paese dal ’48, fino all’espulsione ed ai processi del ’50 per i fatti omosessuali di Ramuscello quando la famiglia Pasolini fuggì a Roma. Quindi PPP era stato vicino alla guerra ed alle particolarità del quadrante nel conflitto dall’annessione tedesca ai campi di concentramento, dalle lotte partigiane e tra i partigiani, alle lotte serbo croate, alle foibe, alla diaspora istriano dalmata. Poi negli anni ’60, PPP scriverà molto dei conflitti in Medio Oriente, insistendo per la mutua comprensione delle ragioni ebree ed arabe. Non si occupò invece dell’Olocausto, di cui anche in Salò mancano i riferimenti come ai fatti bellici pure molto vicini alla sua vita personale. PPP infatti ammise che Salò non solo non era un film sulla storia ma, anzi, era il suo contrario.
focault
Un film sull’inesistenza della storia, eurocentrica da una parte, il marxismo dall’altra. Il vero protagonista era il sesso, cioè il sadomasochismo di de Sade; il potere che riduce il corpo umano a cosa, la mercificazione del corpo. Malgrado l’esaltazione costruita attraverso i riferimenti ai meccanismi di repressione del Sorvegliare e punire di Focault ed a quelli dell’alienazione, particolarmente dibattuti negli anni ’70, è difficile trovare il collegamento tra la violenza sadica della riduzione ad oggetto della vittima, su cui si sofferma il film, e tra la violenza insita nel consumismo che peraltro nell’Italia degli anni ‘70 non era così sviluppato. In effetti in Salò non c’è nessuna critica reale al consumismo capitalista; è più un salto all’indietro che in avanti. L’epoca del potere assoluto senza limiti è il principato dell’Impero Romano, prima del Codex Theodosianus e del codice Giustiniano. Pasolini non colse l’opportunità del casus belli dell’arbitrarietà assoluta dettata dall’Ermächtigungsgesetz, la Legge dei pieni poteri del ’33 che in un teatro berlinese istituzionalizzò la dittatura hitleriana in Germania; e certo non avrebbe potuto trovarla nel regime fascista, tutto pesi e contrappesi tra diarchia, autonomia del settore finanziario e pluralismo delle correnti e componenti del Pfn. L’accusa del genocidio di culture viventi, causato dai valori alienanti e falsi del consumo che trasformano la coscienza con i suoi disvalori, cita il Marx dei Manoscritti di Parigi (Manoscritti economico-filosofici, 1844, pubblicati nel ’32 in Russia); non esiste produzione senza consumo poiché produzione è immediatamente consumo, così come il consumo è immediatamente produzione. Ciò significa che l’appropriazione della natura per la produzione e, quindi, per il consumo può essere più o meno invasiva e distruttiva per la natura stessa a seconda del tipo di proprietà, e responsabilità, della produzione stessa. PPP, però, così premodernista e spirituale, era veramente un marxista immaginario. Quella accusa, valida se indirizzata all’esempio americano, che pure nei ’70 era al suo punto più basso di potenza e consumismo, attraversato da mille pulsioni pauperistiche, certo era spuntata contro il potere nell’Italia ’70, vale a dire un potere democristiano atlantista, conservatore, bigotto, censore, timoroso delle libertà, che vergognosamente non sapeva rifiutare. La Dc, nel sognare il premodernismo, era forse in concorrenza con PPP. Il genocidio culturale poteva essere la censura da cui PPP, pur portato a processo 33 volte e quasi sempre per rappresentazioni contro la morale, ebbe solo vantaggi per la costruzione del suo mito letterario, peraltro vincente in tribunale, al punto da essere visto come un capoclan di peso dagli altri cineproduttori. Il suo più grande successo fu l’accusa di ogni turpitudine alla repressione immaginata identificata al fascismo immaginario, le cui tracce correnti erano nella polemica quotidiana sul neofascismo, il terrorismo di destra, la resistenza tradita, lo stato deviato, i tentati golpe, la strategia della tensione, la politica di sottobanco delle partecipazioni statali e sopra di loro dai partiti; il sistema contro il quale PPP stava producendo la sua incompiuta opera di inchiesta Petrolio, preannunciato dall’articolo di denuncia, Io so.
1975
In quel ’75, il Pci era divenuto il primo partito italiano con 11 milioni di voti su 34 di votanti, uno su tre, alle elezioni amministrative del giugno. A maggio la legge Reale antiterrorismo, poi confermata per via referendaria, venne accusata a lungo e istericamente, di repressione antidemocratica. Una vicenda di cronaca di settembre sembrò uscire dalle scene tremende di Salò, lo stupro collettivo della villa di San Felice Circeo, dove i quattro ragazzi coinvolti vennero etichettati come fascisti. Tutta la propaganda progressista alimentavano realtà e fantasmi dell’esistenza di un fascismo, assimilato al nazismo, immaginario rispetto alla vicenda storica; d’altronde nella guerra fredda diventava fascista tutto quanto non fosse comunista. Intanto prima della morte di Pasolini, si profilava il volto omicida degli anni di piombo. Si susseguivano manifestazioni violente con lanci di molotov, occupazioni, scioperi a singhiozzo, scontri tra gruppi e con poliziotti, che facilmente scivolavano nel terrorismo politico rivolto contro istituzioni ed enti ma anche contro lo stesso Pci, timoroso di vedersi scavalcare a sinistra ed accusato di una seconda Resistenza tradita. L’inaugurazione fu la battaglia di Valle Giulia del giugno ’68 dove rimasero feriti 452 studenti e 148 poliziotti. Pasolini, ancora scandalo a rovescia, scrisse sull’Espresso a difesa degli agenti figli di poveri che vengono da subtopaie, contadine o urbane. Seguirono l’assassinio di un poliziotto per mano dell’Unione Comunisti Italiani nel’69, di un commesso nel ’71 a causa del gruppo XXII ottobre, che rapì il figlio di un industriale (’70). Anche le Brigate rosse rapirono, un dirigente industriale ed un magistrato(’72) ed uccisero, due missini e due poliziotti(’74). I Nap rapirono un industriale, uno studente (’74) ed uccisero un magistrato e tre poliziotti (’75). All’evocazione politico e culturale di una presenza magniloquente del grande mostro fascista presente dovunque bastavano poche scintille di piccoli inneschi, delle attività di individualità isolate, di gruppuscoli estremisti e del ghettizzato partito reducista. Oltre a questi attori minori, sui quali si scaricava lo scandalo della stessa esistenza, tutto era fascismo, dal reato alla gestione opaca dei governi centristi e di centrosinistra, dagli scandali all’autoritarismo ed al clima moralistico e bigotto di una Chiesa ancora clericofascista, dall’alleanza americana al lontano Vietnam, dalle bombe allo Stato complice.
urfascismo
All’epoca non c’era l’urfascismo, che Eco espose venti anni dopo alla Columbia University; ma Pasolini l’aveva ampiamente anticipato. I tredici punti dell’echiano urfascismo oggi fanno sorridere, per esempio all’ultimo punto, la Neolingua, oggi punta di diamante del politicamente corretto; ma anche al primo, Culto della tradizione sincretica ed al secondo Rifiuto del modernismo e dello spirito illuministico, punti fondanti del sadiano PPP. Chi più dell’ambientalista Greta non punta sul terzo punto, Culto dell’azione e sul quarto Rifiuto della critica in nome della scienza oggi (come ieri in nome dell’ideologia del comunismo scientifico)? Il settimo punto, il Complottismo, montava negli anni di Pasolini (fino a giungere al parossismo odierno), che ne era un grande anticipatore. La minaccia alla democrazia puntava contro, paradossalmente, le democrazie, appoggiandosi alle tirannidi, assolutamente contrarie al Pacifismo borghese (nono punto). Il tredicesimo, il Populismo qualitativo risuonava positivamente in quegli stessi anni (sulla scorta della vicenda cilena, El pueblo unido jamas serà vencido). Il popolo unito contro gli invasori, i finanzieri ed i militari fronteggiava il settimo punto della Sindrome dell’Accerchiamento di staliniana memoria. Uomo medio frustrato (o l’Uomo senza qualità) e Fantozziano (sesto e ottavo punto) l’ipotetico urfascista nulla aveva a che vedere con i Signori sadianpasoliniani onnipotenti che semmai erano dei Macho (dodicesimo punto), eterosessuali cui piacevano ragazzini etero, in una omosessualità che disprezzava le tendenze femminili di gay e travestiti (praticamente l’autoritratto di PPP). Il frustrato, contraddittoriamente, insieme avrebbe avuto il culto degli Eroi (undicesimo punto) dei lider maximo, dei Padri del popolo e dei Migliori, nell’Elitarismo di massa (decimo punto). Il quinto punto del Razzismo era stato fondante nel nazismo, cui si era adeguato l’ultimo fascismo; ma l’applicazione pratica estesa, tuttora vivente, della pulizia etnica continentale ad opera dei nemici del nazismo, aveva portato le politiche razziste ad un livello molto più alto, terribilmente raffinato con conseguenze ineliminabili e incondannabili nel tempo. Eco sapeva che le sue regole si contraddicono reciprocamente e sono tipiche di altre forme di dispotismo. Ci fu un solo nazismo, pagano, politeistico e anticristiano. Al contrario, si può giocare al fascismo in molti modi, Il fascismo si adatta a tutto. Fascismo senza imperialismo, Franco o Salazar; fascismo senza colonialismo, fascismo balcanico; fascismo italiano più anticapitalismo radicale, ecco Pound; fascismo italiano e misticismo del Graal, ecco Evola. avrebbe aggiunto Fascismo più consumismo della merce dei supermercati, che in realtà è merda, ed ecco de Sade. Entrambi non riconoscevano la comune origine dalla matrice giacobina e bonapartista dei rivoluzionarismi violenti, collocati arbitrariamente a destra ed a sinistra ed evoluitisi nello sterminio dei nemici di classe di razza. Il decalogo echiano li condannava tutti in nome di un conservatorismo liberale illuminato, nemico di tutti i populismi e pauperismi, incluso quello delle borgate. Eco teneva Roosevelt come nume che ebbe nemici politici nei nazisti americani; però il presidente invalido si comportò da dittatore statalista e le biografie lo descrivevano come Lo stalinista.
decalogo
Il decalogo echiano antifascista si fondava sul mantra reiterato e coniugato ad ogni occasione della sempiterna minaccia fascista concretatasi nel racconto, dallo stop Usa alle vendette comuniste sui fascisti e moderati della Resistenza tradita alla modesta epurazione ed alla mancata cessione del Nordest alla Jugoslavia; dalla democrazia bloccata dal fattore K, dimostrata dalla vittoria clericofascista dei comitati Gedda e dal tentato maggioritario, chiamato truffa; dal contrasto alla pretesa Pciista di legittimo controllo della piazza, sull’esempio storico del biennio rosso, denunciato dal rapporto Mazza del’70 all’evocazione di presunti putsch militari e dei servizi deviati nelle stragi, poi nel piano Solo’64, nel golpe Borghese’70, nel golpe Sogno ’74, poi nell’intangibile golpismoP2, in quello travisato della struttura collaterale Nato di Gladio e da ultimo della Trattativa stato mafia fino alle nuove leggi repressive del fascismo, la Mancino e la tentata Fiano. Tutte ipotesi ricorrenti, partite con il massimo coinvolgimento dei vertici dello Stato e dei partiti moderati e di destra, sempre finite nel nulla processuale, ma sempre rimaste nella storia e nell’informazione che anche senza prove, le vuole attendibili, perenne spada di Damocle sul fascismo immaginario che a seconda delle stagioni trova sempre nuovi colpevoli in carne ed ossa, sempre diversi, ogni volta secondo l’interessato affossamento di precisi partiti ed esponenti di destra.
Anche l’assassinio Pasolini rientrò tra questi misteri politici; il fatto di non aver trovato un chiaro mandato democristiano, andreottiano e fascista non tolse la convinzione che quello fosse il colpevole. Quando uscì Pasolini 2014 di Ferrara, biografia familiare degli ultimi mesi dello scrittore con amici come Davoli e la Betti, nelle interviste, con ragazzi prostituti (inverosimilmente in tre lingue, inglese, francese e italiano), riproposizione all’inizio di alcuni fotogrammi di Salò e dei progetti incompiuti di Petrolio e del film Termini Sodoma, ci furono proteste in Italia perché l’omicidio veniva dettagliatamente descritto nei dettagli come pestaggio di rapinatori degenerato in violenza omofoba. Gli italiani non si rendevano conto che l’antifascismo era morto con l’abbattimento della Barriera antifascista di Berlino; e che il nuovo Antifa americano era dei latinos e degli afroamericani contro i bianchi razzisticamente colpevoli. Pasolini poi non aveva previsto che il suo capolavoro maledetto avrebbe fatto sbocciare un fiore malato di naiexploitation, un genere fatto passare sottotraccia per vergogna.

Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.