Che dire di un sindaco antifascista con il pugno chiuso e la bandiera rossa?

Milano

Premetto: sono antifascista da sempre, figlia di una famiglia antifascista che ha pagato col sangue l’essere, appunto, antifascista. Per chiarire la mia innata avversione per saluti romani o forme nostalgiche antistoriche e devastanti. Ma in eguale misura detesto pugni chiusi, bandiere rosse e l’appropriazione indebita di “O bella ciao” che nella mia infanzia contadina nella Bassa emiliana era solo un canto popolare.

Ed è inimmaginabile che un sindaco un giorno sì e l’altro pure, mandi anatemi contro fascisti inesistenti nel nuovo consiglio comunale, esiga dichiarazioni scritte di antifascismo e continui a fare una lotta contro i fantasmi, se poi adotta i simboli veterocomunisti per convenienza e opportunismo. Quel pugno chiuso, la bandiera rossa, la nomina ad assessore di Limonta proveniente dai centri sociali che coltivano la Kultura degli ex BR radicata nel comunismo, la tolleranza per l’illegalità e la violenza dei cosiddetti antagonisti sono la dichiarazione di una radice che si ispira ad un totalitarismo grondante di sangue.

Quel pugno chiuso non indica solo unità nella lotta del proletariato che oggi la sinistra ha totalmente dimenticato, ma racchiude le purghe staliniane, le deportazioni nei Gulag, la repressione violenta di un regime. Che dire? Perché Sala non dichiara anche di essere anticomunista?

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