I meme al potere

Attualità

Il meme è una forma di ironia tipica dell’era digitale, in cui un’immagine diventa virale. Ovvero si diffonde e muta. Smette di essere quello che era all’inizio e diventa quello che la gente ha bisogno per esprimere un concetto. Due esempi storici: Harambe e Pepe Le Frog. Harambe è il gorilla dello zoo di Cincinnati ucciso per salvare il bimbo di colore finito nella sua gabbia. La storia sfortunata è stata usata dall’alt right come cavallo di troia per commenti razzisti, che altrimenti sarebbero stati censurati. E da un’intera sottocultura, non razzista, ma ribelle, che lottava contro il politicamente corretto come nuova santa inquisizione. Nero, con la g ovviamente, non si poteva scrivere. Ma Harabe vive, tutti con Harambe e frasi del genere sì. Ovviamente sottintendendo che andava salvata la scimmia e non il bimbo. Pepe Le Frog, un’innocua ranocchia verde, invece, è stata il traino a Trump nella cultura internet, permettendogli di sfondare in un mondo che i Repubblicani non mettevano nemmeno nei target possibili. In questo caso il razzismo non c’entra nulla: quello che funzionava era il trigger, ovvero l’innesco della rabbia dei politicamente corretti. Che quando la vedevano davano di matto. Ed è diventata (non avendo in sé alcun reale sottinteso razzista) la bandiera di una generazione che vuole tornare a trasgredire e a essere libera.

Di Maio e Salvini, ormai, secondo quanto esposto sopra, sono i meme di se stessi. Non hanno più istanze politiche proprie, ma solo quelle che gli utenti richiedono. Conte, poi, ne è l’esempio supremo: è il Pepe Le Frog Italiano del 2018. Non ha un sottotono, non ha una ideologia sottostante, non ha un contenuto personale. Semplicemente, esprime quello che la gente vuol sentire e che gli viene passato dalla cinghia di trasmissione Di Maio. I meme sono una cosa bellissima, su Facebook. Sono un mezzo di comunicazione micidiale. Ci sono, però, due piccoli problemi quando decidi di lasciarti governare da loro.

In primo luogo, far dire di sì compulsivamente a qualsiasi pulsione manifestata in un social, che in Italia è stato hackerato dai cinquantenni carichi di rabbia e bile, dove i giovani seguono afasici le ondate di rabbia dei primi, è esattamente l’opposto del motivo che li ha resi di successo nella politica Usa. Dove un’elite di giovani ha preso il sopravvento su una massa informe, ne ha riassunto le idee, semplificato il messaggio ed ottenuto una guida in grado di rappresentarli. In Italia la piccola elite di comunicatori della Casaleggio è naufragata, si è fatta liquida, ed è stata inglobata nei rant, i deliri social, di due generazioni incapaci di incarnare i propri ruoli. E quindi inadatti a decidere del reciproco futuro. Per capirci: Trump non bombarderà l’Iran e non abolirà il matrimonio gay, e non cercherà di instaurare un etnostato bianco. Il Movimento, invece, fermerà la Tav, bloccherà il Tap e manterrà tutti i disoccupati con il reddito di cittadinanza pagato non si sa come. Trump non deriva la sua legittimità da un meme, quindi può tranquillamente agire come preferisce, fintantoché garantisce libertà ai suoi sostenitori ed attacca il politicamente corretto. Di Maio è un meme e non ha autonomia alcuna. Deve seguire le ondate di rabbia a caso, a costo di danneggiare il Paese.

Il secondo è che, dopo aver dato ragione a tutti, devi anche provare a fare qualcosa. E qui i meme falliscono, ovviamente. Non cambiano le leggi. Non fanno decreti. Non affrontano problemi, che non siano intimamente connessi con il diritto di parola. E quindi non spiegano come si gestiscono le pulsioni umane diverse dalla rabbia e dalla ribellione. Questo, peraltro, li rende fortissimi sull’oggi: le orde di semi analfabeti che vogliono il governo del cambiamento sbavano incessantemente sulle tastiere per bruciare il Palazzo d’Inverno. Il grande problema di seguirli quando si governa è che il bersaglio della loro indignazione e la forza della stessa cambiano spesso e senza preavviso. E chi dai meme è nato, i meme seppelliranno. Con una risata ed un default, nel nostro caso. Per cui, se volete attaccare Conte, non discutete di politica, economica, proposte e numeri. Memate. Memateli a morte. E che bruci il paese mentre i buffoni si prendono a pesciate in faccia.

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