Vento di destra o no?

Attualità RomaPost

In tutt’Europa ci si interroga, preoccupa o esalta sulla prospettiva di una governance dell’Unione Europea, spostata a destra. Si tratta di una eventuale diversa maggioranza dell’europarlamento, vale a dire del potere più debole delle istituzioni europee. Si tratta del consenso di una maggioranza di europarlamentari eletti tra i popolari, i liberali ed i conservatori, con esclusione di socialisti e verdi, verso un presidente o una presidente, per l’ennesima volta popolare. L’eventuale modifica di trend di governo non maturerebbe nell’emiciclo, ma a monte tra i governi. Non valgono in realtà le scelte dei 448 milioni di aventi diritto in 27 Stati del 6 al 9 giugno 2024, per la selezione degli 705 europarlamentari ma il voto degli stessi nelle elezioni nazionali. Questo perché, come si ostinano a ripetere all’Università di Fiesole, l’Unione non è una democrazia; non ha un parlamento che possa sfiduciare il Consiglio dei ministri. Non vi vige il principio fondamentale del no taxation without representation per giustificare l’austerità imposta dall’Unione agli Stati. Infatti, l’Unione è una macchina burodiplomatica che partecipa a gestire un reticolo di trattati fondati sulla volontà, più o meno coatta, dei governi nazionali. E nei fatti è un formidabile dispenser di danari per la maggioranza dei membri. La democrazia è ancora solo negli Stati.

Interrogativi, preoccupazioni e speranze sull’eclisse dell’equilibrio da grosse koalition, intesa tra socialisti e popolari, mutuata dall’esempio tedesco, vivono nell’opinione pubblica e nei votanti. Nella maggioranza di stampa e media invece esistono solo le preoccupazioni, al punto da considerare grosse frazioni di elettori alla stregua di nemici. Questo mondo mediatico esulta se maggioranze relative del voto in grandi paesi finiscono del tutto frustrate nelle decisioni parlamentari e di governance; cioè gioisce per l’ininfluenza del voto. Questo appare di tutta evidenza nel caso delle appena conclusesi elezioni in Spagna. Micromega ha tuonato, non esiste un vento di destra, (a rispondere alla frase della segretaria Pd, soffia un vento di destra) raccontando il risultato spagnolo quasi come una vittoria socialista; Repubblica ha illustrato on line quasi tutto lo spoglio con un leader socialista Sanchez sul podio. A fatica i commentatori anche dopo l’evidenza hanno riconosciuto a chiare lettere al partito popolare il primato per seggi relativo alla Camera, assoluto al Senato.

Al leader del Partido Popular, diretto erede della Falange, Feijóo sono state rivolte osservazioni maligne per il profilo basso e non carismatico; peggiori sarebbero state se si fosse presentato da machista. A Vox, che ovviamente ha subito un’ampia discriminazione per definire gli indipendentisti baschi, terroristi, e gli in indipendentisti catalani, eversori, è stata gettata in faccia la perdita di oltre 700mila voti senza ricordare che Il partito ultraderechista resta con 33 seggi il terzo partito di Spagna. La mossa rischiosa socialista di far votare la Spagna nel più afoso dei climi è stata esaltata per l’effettiva partecipazione del 70% superiore alle precedenti consultazioni, anche se la sconfortata Catalunya ha registrato una netta astensione di protesta. Dopo il crollo delle regionali di primavera, secondo i sondaggi, la sinistra socialista e di Suprema rischiavano di assistere al trionfo di popolari e Vox. Invece il risultato recita 136 seggi ai popolari (33%, 47 in più), 122 ai socialisti (due in più), 33 a Vox (19 seggi in meno), 31a Sumar, erede di Podemos. Non è il trionfo della destra, è solo la sua vittoria. Solo per i media tutto ciò può essere tradotto in una vittoria di sinistra.

Ciò che è più incredibile, è il rovesciamento della lettura dei fatti catalani, da parte dei progressisti. Proprio all’indomani del risultato dell’Erc catalano i cui 7 seggi potrebbero essere utilizzati da Sanchez per formare un blocco di 172 deputati (assieme ai 6 seggi dei radicali baschi di Bildu ed ai 5 dei nazionalisti baschi del Pnv) la Corte suprema spagnola ha chiesto l’ennesimo mandato d’arresto europeo per l’ex presidente catalano Puidgemont, ora eurodeputato. La sconfitta di primavera di Sanchez era stata dovuta anche al sostegno degli indipendentisti, non graditi al grosso corpus spagnolo. Un momento bassissimo di democraticità era stato toccato ad aprile dall’europarlamento e dalla Commissione quando in un rapporto approvato accusò i secessionisti catalani (Puigdemont ed il gruppo di Junts per Catalunya), denunciati dopo l’atto d’indipendenza del 2017, di lavorare per la Russia. Il rapporto alzava un muro di scudi contro le false informazioni, le minacce tecnologiche, gli hacker e l’ampia ingerenza della Russia nei movimenti secessionisti nei territori europei. L’attuale presidente catalano Aragonès, di sinistra, alla guida di un governo autonomo indipendentista, è un sostituto dell’eletto Torra, cassato dalla carica dal Tribunale Supremo spagnolo. Ora è evidente che per i catalani, il cui partito, Junts, è liberale, collegarli a Mosca sia un nuovo modo di alimentare pregiudizi contro un’opzione politica legittima. Rispetto alle titubanze europee che ora hanno arrestato ora rilasciato i catalani, a maggio il Comitato per i diritti umani Onu ha censurato la Spagna per violazione del governo democratico e dei diritti politici dei catalani in ossequio al Patto internazionale sui diritti politici.  Dal 2017 e dall’elezione in Europa, Puigdemont, Comín e la Ponsatí sono stati più volte denunciati, hanno perso l’immunità dell’europarlamento, malgrado il blocco del tribunale Ue, malgrado la grazia del 2020 di Sanchez. La repressione degli indipendentismi è bipartisan in Spagna e a quanto pare anche in Europa. La destra italiana, tante volte descritta come autoritaria, può vantare l’apertura di avere tra le sue fila un forte partito regionalista.  Il solco della guerra civile spagnola, tra Madrid e Barcellona costituisce un vulnus democratico per tutta Europa contro il quale non vale definire antidemocratiche le bombe russe sulle chiese ortodosse e democratiche quelle sui giornalisti russi.

Un tempo la sinistra non aveva dubbi e parteggiava per Barcellona del no pasaran, al tempo del movimento per i diritti dei popoli di sessantottina memoria. Oggi invece la sinistra colta stigmatizza l’indipendentismo, che non rappresenterebbe un movimento di giustizia sociale, ma solo disprezzo per i castillani e dintorni. I catalani, definiti ricchi e arroganti., avrebbero mostrato volontà di umiliazione e viso non solidale e secessionista. Il mix rivendicativo di repubblicanesimo, conservazione borghese di ricchezza e questione identitaria sarebbe andato troppo in là in una regione che gode già di tutti i diritti civili e politici di uno statuto economico di benessere maggiore del resto della Spagna. Poco manca che per svilire autodeterminazione chiaramente voluta e votata da un popolo, non si parli di ebrei plutocrati piccoloborghesi. L’identitario di Catalunya, facendo rischiare il potere alla sinistra, viene calpestato a scarponi chiodati; né si bada all’alta astensione di una regione del cui voto si è fatta carta straccia.

Appare evidente che l’Europa democratica, se veramente vuole difendere i diritti delle minoranze, non può non sostenere la volontà libera di un popolo. Anche perché è l’Europa che ha creato la situazione presente.

Dai tempidi Delors, moneta e mercato unici hanno determinato una spinta alla competitività ed alo sviluppo che disegnano il vecchio continente diviso non per Stati ma per aree economiche. A suo tempo Alesina, Spolaore e Wacziarg spiegarono che la liberalizzazione degli scambi internazionali riduce l’importanza del mercato nazionale e della protezione dello stato nazionale mentre esalta i benefici di un superstato con moneta comune. L’Europa ha un’area eccellente (Scandinavia, Benelux, gran parte della Germania, Austria, Lombardia, Slovenia, Praga, Varsavia, Parigi e parte della Francia, Madrid, Catalogna, Paesi Baschi, parte dell’Irlanda, Estonia), una mediana (resto di Francia, Italia centronord, Polonia, Croazia, Boemia, Slovacchia) ed una povera (Grecia, resto dell’Esteuropa, Italia e Spagna meridionali, Portogallo). Eurostat registrava nel 2021 per il Lussemburgo il 268% del pil medio europeo, per Praga il 203%, per Budapest il 156%, per Bratislava il 149%, per Bolzano il 151%, per la Lombardia il 128%, all’altezza di due regioni irlandesi e di Bruxelles mentre l’Est raggiunge il 60% e la Bulgaria sta al 50%. Come si vede solo pochi Stati mantengono un’unità omogenea e sono guidati dall’area eccellente. Conseguenza delle disuguaglianze economiche è la richiesta di maggiore autonomia se non di indipendenza delle aree avanzate mentre le più arretrate si stringono agli Stati. Caso emblematico, il catalano.

Certo l’Europa può schizofrenicamente costruire le condizioni economiche della divisione o di una diversa strutturazione politica ed al tempo stesso imporre il diktat della camicia di forza contraria. Distrugge però tutto il suo castello ideologico. Si dirà che solo gli inglesi possono liberamente decidere per sé stessi. Nell’attuale stallo alla spagnola, il vincitore popolare ha rivendicato giustamente il diritto di governare, cercando le opportune alleanze. Da ricordare che da subito i popolari hanno escluso di voler portare Vox al governo malgrado tanti patemi di venti destri. L’opzione dei socialisti sconfitti di voler governare con una grande coalizione variopinta potrebbe condurre all’indipendenza catalana ed all’autonomia, ancora maggiore dell’attuale, basca. Il problema è che il cuore della finanza iberica è a Bilbao, e dell’economia a Barcellona; a Madrid ci sono solo Re e giudici, peraltro sottoposti all’esecutivo. La secessione catalana, gestita opportunamente da Bruxelles sarebbe una grande prova democratica; e certo paradossalmente un passo avanti per una idea vera di integrazione del continente dove i migliori devono guidare gli altri. Certo, condannerebbe la sinistra ad una lunga stagione di sconfitte perché il popolo elettore ha il diritto di preferire il proprio Stato a percorsi insicuri di ristrutturazione politica. Che potrebbero tradursi in un nuovo Anschluss ed in una ricostituzione della Mitteleuropa.

Perciò probabilmente, come è già avvenuto in Spagna, si tornerà a votare fino ad una vittoria chiara di destra. Così almeno l’attuale sinistra mediatica, antidemocratica e globalizzante, al di là della realtà, potrà trovare fatti che ne  giustifichino gli alti lai per il vento di destra.

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