Tra negazioni, insabbiamenti, imbarazzi, processi, guerra finita e guerra fredda, pugni in faccia e l’agghiacciante durezza della verità, una via d’uscita filmica dall’Olocausto era di buttarla sul ridere. Ridere tra le lacrime, però di solito, è il ruffianesco fotti e chiagni e non è questo il caso. La satira per ridicolizzare l’orrore della tragedia più buia era valida per lo scontro fintanto che il nemico stava in piedi come nella sfida del tranquillo Chaplin de Il grande dittatore ’40. Dopo la guerra, non a caso, Chaplin dichiarò che se avesse saputo dei campi di concentramento, non avrebbe girato il film. Assai più pesante e ansiosa, l’allegria del Vogliamo vivere! ’42 di Lubitsch, appena scampato a Hollywood (Essere o non essere di Johnson con Brooks è il remake dell’83).
C’è infatti modo e modo di ridere. C’è la parodia sulla stupidità del soldato nazista inetto del III Reich (Gli eroi di Hogan ’65 di Fein, Per favore non toccate le vecchiette ’67 di Brooks, ripreso da The Producers 2005; gli italiani Sturmtruppen ’76 e ’82 di Samperi, i tedeschi dell’Illinois de The Blues Brothers ’80 di Landis). C’è la risata amara della veritiera figura del delatore antisemita Adelmo (Tognazzi) nei Telefoni bianchi del ’76 di Risi. C’è la tragicommedia Train De Vie ’98 del rumeno Mihaileanu cui è ispirato il favolismo de La vita è bella ‘98 di Benigni; ad entrambi segue il flop di Jakob il bugiardo ’99 di Kassovitz (remake di Jakob, il bugiardo ’75 di Beyer). Ci sono le parodie sulla caccia agli uomini del III Reich fuggiti fuori dall’Europa e sugli imbarazzi di enti ed istituzioni, come i paesi sudamericani e le chiese negli Hunters.
L’Hitler preso in giro da I Simpson ‘99 e I Griffin 2013 è surclassato dallo Zio Adolfo in arte Fùhrer ’78 di Castellano & Pipolo con sdoppiamento zelig di Celentano, anticipazioni mockumentary e roulette russa stile Il Cacciatore.
Alla fine, prevale la fantasia spensierata (Doctor Who ep. VIII Let’s kill Hitler 2011 e Jojo rabbit 2019). Forse però il miglior film comico sull’Olocausto è quello mai trovato, The day the clown cried ’65 di Lewis che lo girò per poi nasconderlo per sempre (in realtà fino al 2025).
terezin
L’inizio però lo dettano i nazisti che nella tragedia della Shoah inserirono l’incredibile opera buffa di Terezin. Nella città fortezza a 60 km da Praga, c’è un campo di transito per 155mila ebrei (di cui 35mila morti in situ e 88mila a Treblinka ed Auschwitz) tra cui 15mila bambini, fino alla liberazione russa, quando il tifo farà una seconda strage di internati. La fortezza ha la forma della stella di David, contiene il ghetto ebraico, una biblioteca di 60mila volumi ed una fabbrica di strumenti musicali, la Zalud.
Con uno strano permissivismo, i tedeschi permettevano conferenze, teatro, concerti; facevano suonare, dipingere, recitare, come nell’opera per bambini Brundibar del compositore Krasa, finito ad Auschwitz, editare riviste come Vedem del giovanissimo romanziere Ginz, finito 16nne ad Auschwitz, autogestire attività formative e sperimentare arte e disegno con l’austriaca ebrea Dicker-Brandeis, finita a Birkenau. Oggi il Museo ebraico di Praga custodisce oltre 4mila disegni dei bimbi. Il maestro Schachter rappresentava con strumenti raccogliticci la Messa di Requiem di Verdi, quasi a ribellarsi agli oppressori.
nazidocumentario
Non solo, i nazisti allestirono un’area con caffè, parco, alberi, fiori, giochi per bambini, auditorium, negozi. Ci accolsero Croce Rossa e governo danese, alla ricerca della sorte di cinquecento cittadini danesi; il loro rapporto della Croce Rossa, dopo otto ore di visite, foto e annotazioni, definirà Terezin un luogo accogliente in una normale città di provincia. Avevano funzionato i cartoni della cinecittà nazista, la scenografia con falsi attori, gli stessi ebrei, che recitavano la versione ripulita e sorridente di sé stessi intenti alla vita decorosa, se non agiata, delle recite, dei concerti e dei giochi. La fake version di Terezin era stata emendata da 7500 prigionieri impresentabili e denutriti, subito eliminati a parte.
Il successo dell’operazione, nella cui organizzazione c’era anche Eichmann, fu tale da giustificare la divulgazione di un documentario nazista sui lager, intitolato Il Fuhrer regala una città agli ebrei‘44, un messaggio di propaganda abilissimo, che venne affidato a Gerron, già collega della Dietrich ne L’Angelo azzurro’30 di Sternberg. Gerron, autore del film, proiettato in Germania ed all’estero, finirà ad Auschwitz con tutto il cast, dopo aver mostrato all’opinione pubblica mondiale come si vive bene nei lager nazisti. Un capolavoro di umorismo macabro. L’inganno di Terezin, di cui tratta Verolino nel 2017, manipolò in parte Krasa, Klein, Schachter, Herz-Sommer, Ullmann, Roman e Lipensky e la massa di artisti, scrittori, giuristi e musicisti ammassati nel ghetto; ma anche i bambini, messaggeri della morte, delle lettere ai deportandi. Fra freddo e malattie, soprusi e torture, veniva alimentata la speranza mendace di vita e futura libertà, innanzitutto dal giornale dei bambini del ghetto dei bambini.
Tutte le comicità successive sull’Olocausto originano dalla beffa nazista di Terezin; e rischiano di apparire ugualmente sconcertanti. I grandi film comici, l’ebreo che illude i compagni di prigionia sulle notizie di una radio fantasma e o che racconta di un villaggio che frega i nazisti, vestendone i panni, o il padre che racconta il lager come un gioco organizzato per il figlio con il premio finale di tank americano, o il clown pifferaio che porta i bimbi nella camera del gas) appaiono assurdi se si pensa alla differenza materiale tra i muri di un lager e le paillette di favola dello show. Con Quercioli-Mincer, si potrebbe aggiungere, In Polonia non si è soliti parlare dell’Olocausto con l’ausilio di mattoncini assemblabili (offerti al pubblico newyorkese in occasione dell’apertura del Museo dell’Olocausto). Chaplin e Brooks non raccontano assurde revanche ebraiche, ma si affidano all’autoridicolo dei tedeschi così come a Terezin ridicolizzarono, alimentandole, le speranze degli ebrei e le illusioni delle organizzazioni internazionali.
lewis
Questa è la ragione per cui Brooks che irride nazismo ed Hitler nella commedia musicale Per favore non toccate le vecchiette ‘67, alla domanda del documentario The Last Laugh 2016 della Pearlstein, risponde lapidariamente La vita è bella di Benigni (nonostante i tre premi Oscar che ora l’Academy vorrebbe revocare) è il peggior film mai fatto, perché cerca la risata superficiale su ciò che accadeva nei campi di concentramento. Stesse ragioni forse funzionavano anche per il comico Usa picchiatello Lewis, di origine ebraica, che diresse nel ’72 con un cast svedese The Day The Clown Cried, (sceneggiatura di Denton e O’Brien, poi corretta dal comico) e definì per le stesse ragioni il proprio un film brutto, bruttissimo, imbarazzante, con me vivo non uscirà da casa mia; era tremendo, tremendo, tremendo; fui grato all’epoca di avere avuto il potere di non farlo uscire. È un film brutto, bruttissimo, imbarazzante, con me vivo non uscirà da casa mia; era un brutto film, perché avevo perso la magia. Non lo vedrete mai, nessuno lo vedrà mai. Il film più misterioso e perduto nella storia del cinema è stato visto da pochissimi che non si sono divertiti; sta chiuso nella cassaforte nella casa di Las Vegas. Nel 2015 Lewis lo donò al Congresso, a patto che non venisse proiettato fino al 2024, accessibile solo ai ricercatori del Packard Campus a Culpeper in Virginia. Nessuno in effetti appare più lontano dallo scenario dell’Olocausto che Lewis, la leggenda della comicità leggera Usa degli anni di Kennedy e Marilyn, con il partner di Martin. Lewis poté ripudiare nel ‘72, il film appena concluso per una disputa legale con il produttore Wachsberger. Quasi clandestini sulla rete girano un backstage di 10 minuti trasmesso a Cannes 2013, un altro olandese con gag da clown di Lewis; mezz’ora di documentario tedesco ed ultimo un documentario della Bbc
frodon
Shearer che ne vide un premontato, ne disse Un disastro al cui confronto La vita è bella pare rispettoso verso l’Olocausto quanto Shoah di Lanzman. Jerry si era lasciato andare a un sentimentalismo tale da essere ridicolo. Il critico francese Frodon, che vide la copia in mano del regista Giannoli, si è invece espresso positivamente.
Il film è completo, non un montaggio approssimativo. È bizzarro, audace, amaro e inquietante, dove l’attempato, stupido, antipatico, incapace clown Doork, finito in un lager per una battuta su Hitler, disprezza di dover far ridere gli altri prigionieri e lo fa con volto assente di un robot. Quando deve far ridere i bambini, al di là del filo spinato, cambia, ricomprende in modo nuovo sè ed il mondo. Non riesce ad essere solo il Pifferaio che guida alla camera a gas, mentre va con loro, confessa di non avere mai avuto figli ma ora di averli. Lewis di solito non lavorava con pochi mezzi; invece il film è povero, essenziale, stilizzato come il treno dei bambini che rotola lungo la campagna; è duramente aderente ai fatti, più onesto di Schindler’s List’93di Spielberg che salva i pochi protagonisti (e non mostra il massacro, come The Pawnbroker ’64 di Lumeted Il giardino dei Finzi-Contini ‘70 di De Sica).Con Lewis muoiono tutti, chi è più sentimentale? Negli States non sarebbe stato mai accettato un picchiatello così difficile da guardare senza lieto fine, più crudele del The King of Comedy ’83di Scorsese.
sullivan
The Last Laugh 2016 stende opinioni, scherzi, irriverenze, perplessità di comici, letterati, sopravvissuti ebrei e non; filmati di vecchi cabaret, sketch del Saturday Night Live, i Griffin 2009 (Peter, nel rifugio di Anna Frank, mangia patatine così rumorosamente da mettere sul chi va là i nazisti, a portata d’orecchio), che sembrano far ridere solo i nazisti. Forse no, ride anche la tremenda comica ebrea americana Sullivan, Se solo ci fossero stati neri in Germania prima della II Guerra Mondiale, l’Olocausto non sarebbe mai successo. Agli ebrei; oppure Ma perché cazzo ci sono ebrei che comprano auto tedesche? Quando Obama vinse le elezioni, regalò a Bush una foto di Hitler con l’iPod, I leader incompresi vanno capiti, prendiamo Hitler, certo, era un mostro, però la guerra contro di lui ha proiettato l’America verso 50 anni di innovazione. E ora abbiamo gli iPod. Come dire, grazie ad Adolfo. Le nuove comiche Usa irridono tutto (ma sono capaci di cacciare quelli del pubblico che le chiedono di spogliarsi), anche la sacralità dei loro stessi punti ideologici liberal. I superstiti ricordano, a guerra finita, una volta nata mia figlia, sapevo di dover ricominciare a sorridere per lei. Non potevo lasciare che il passato mi impedisse di vivere. Chi ha pianto abbastanza, rida; e raccontano dell’incredibile cabaret da lager
elrich
A parte Terezin, il cabaret da lager lo faceva nel ‘43 la compagnia Westerbork Theatre Group del famoso comico weimarianio Ehrlich con gli artisti internati (il capocomico Rosen, il pianista Ziegler, Goldstein, Spira e Baar). Nel campo olandese di transito di Westerbork, l’SS Obersturmführer, Gemmeker, che non sarebbe mai stato condannato seriamente) batteva il piede, davanti alle scene colorate Bunter Abend. Gli spettacoli ritardavano le partenze per i lager dell’est. Facevamo spettacoli che loro (i nazisti) non capivano, per prenderli in giro e darci forza. La leggenda finale del grande Ehrlich, esposta da Franchini ne L’Ultima nota, racconta di recite proseguite anche ad Auschwitz, ma è certa solo la sua fucilazione. Lubitsch, Chaplin sono fuori corso rispetto alla Shoah; Brooks l’ha evitata; Lewis, Williams, Mihăileanu, Benigni che si sono scontrati con la cupezza che toglie ogni velleità di riso, sono andati così, il primo ha rinunciato, il secondo affondato con perdite, il terzo, forse il più efficace nella leggerezza, obnubilato dal quarto che ha potuto usufruire dell’operazione hollywoodiana di assoluzione del passato.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.