Milano 9 Agosto – Silvio Berlusconi rilascia un’ampia intervista a Il Giornale rispondendo a tutti gli argomenti di attualità e delineando il suo progetto di governo. Ne riportiamo il testo integrale suddiviso in due parti
Presidente Berlusconi, esiste il pericolo che la divisione in Sicilia e il mancato accordo sul nome di Musumeci possano mandare in frantumi l’edificio del centrodestra unito?
«Non ne vedo la ragione. Prima di tutto io sono sempre ottimista e continuo a pensare che la divisione del centrodestra in Sicilia non sia affatto scontata. Sarebbe ragionevole convergere sul candidato che abbia le caratteristiche più adatte non solo a vincere ma a garantire ai siciliani cinque anni di buon governo, dopo i disastri della Giunta Crocetta. In ogni caso ho già espresso in altre occasioni nei giorni scorsi il mio pensiero sulle elezioni siciliane: sono importanti perché riguardano una grande regione, ma non sono la prova generale delle elezioni politiche. Anzi, sarebbe offensivo per i siciliani non cogliere la specificità di questo turno elettorale. Quello che accade a Palermo può benissimo essere diverso da quello che accade a Roma, se la situazione locale lo rende necessario. Sul piano nazionale d’altronde l’unità del centrodestra mi sembra un valore pacificamente acquisito da tutti».
Ma allora, quali sono i confini del centrodestra al centro?
«Le ribalto l’impostazione che pecca di politicismo e di una certa sindrome da Palazzo. Il centrodestra è innanzitutto un popolo, come si è visto in questi vent’anni, ma anche più recentemente al referendum costituzionale o nelle principali città italiane. Un popolo unito da valori e ideali che vuole una alternativa rispetto ai governi della sinistra. Ho sempre lavorato per una coalizione larga, e auspico il formarsi di liste civiche di centro con cui allearsi a livello nazionale, ma una coalizione è anche un vincolo di serietà nei confronti di quel popolo, non un Colosseo senza porte dove entra ed esce anche chi ha sostenuto i governi di questi anni».
Molti parlamentari eletti nelle sue liste nel 2013 e poi passati sotto altre insegne politiche ora bussano alle porte del centrodestra. Lei sembra adottare un atteggiamento inclusivo e pragmatico. Per quale motivo?
«Intanto è necessaria una precisazione: ho già chiarito che d’ora in poi non sarà consentito l’ingresso in Forza Italia a chi, eletto nel centrodestra, ha sostenuto governi di sinistra che hanno condotto il Paese nella difficile situazione nella quale ci troviamo. Se però alcuni parlamentari eletti con noi, che si considerano ancora di centrodestra, in Parlamento vogliono dare vita a formazioni alleate alla nostra coalizione, credo che sia un fenomeno positivo, che riporta -almeno negli ultimi mesi della legislatura -ad equilibri parlamentari più simili a quelli votati dai cittadini. Se queste formazioni saranno in grado di aggiungere consensi alla nostra coalizione, questa sarà una buona cosa per tutto il centrodestra».
Le elezioni si avvicinano, i sondaggi premiano il centrodestra. Lei sente davvero il profumo della vittoria?
«Il profumo della vittoria lo sento, ma soprattutto sento la sofferenza degli italiani, insicuri a casa loro, vessati dalle tasse, sfiduciati dalla politica e dall’antipolitica. E sento una grande responsabilità. Sempre più italiani chiedono a me, a Forza Italia, al centrodestra, di cambiare radicalmente le cose che non vanno nel nostro Paese. Di porre fine all’oppressione fiscale, all’oppressione burocratica, all’oppressione giudiziaria. Per fare questo non bastano riforme, occorre una vera e propria rivoluzione liberale, ovviamente incruenta, ma non per questo meno radicale. Noi siamo moderati nel linguaggio e nei metodi, ma le nostre idee sono per un cambiamento profondo, radicale, nel modo di governare l’Italia, ma anche nei volti ai quali affidare questo compito».
Parliamo dei volti.
«La politica per tornare ad essere credibile ha bisogno di affidarsi a donne e uomini che abbiano dimostrato nella vita civile, nella trincea del lavoro, delle professioni, dell’impresa, della cultura, del volontariato, efficienza, scrupolosa onestà, capacità di conseguire dei risultati. I politici di professione purtroppo in molti casi hanno dimostrato di non avere queste caratteristiche, di pensare più al loro interesse privato che a quello della collettività».
Sta annunciando una rottamazione ?
«Io nella vita sono sempre stato un costruttore, in qualunque campo mi sia impegnato. E un costruttore rinnova per essere in sintonia col Paese. Gli sfasciacarrozze invece rottamano. Per questo sto lavorando per rinnovare radicalmente la nostra squadra parlamentare e di governo. Meritocrazia per chi ha ben lavorato in questi anni e rinnovamento. Da tempo ho proposto ai nostri alleati, che si sono detti d’accordo, che il prossimo governo sia costituito per la maggioranza, per esempio 12 ministri su 20, da persone che non vengono dalla politica. Sui nomi deve permettermi di essere reticente: ogni volta che ho citato qualcuno, anche solo a titolo di esempio, si è scatenata una serie di illazioni del tutto infondate».
Chi sarà l’avversario più insidioso? Matteo Renzi o Beppe Grillo?
«Se devo essere sincero, l’avversario più insidioso è la rassegnazione e la delusione degli italiani. E non è retorica o un modo per eludere la domanda. Il vero nemico che voglio combattere è quel dato angosciante che vediamo ogni volta che escono dei risultati elettorali: il 40-45% di italiani che non è più andato a votare. Ovviamente loro non sono colpevoli di nulla, anzi hanno moltissime ragioni per essere delusi dalla politica. La mia sfida non è battere Renzi o Grillo, è restituire alla maggioranza naturale degli italiani la fiducia nella possibilità di cambiare radicalmente le cose nel nostro Paese. Un Paese dove la metà degli elettori non vota non è una vera democrazia».
Chi è che sta a casa: i delusi della sinistra, i giovani, gli arrabbiati?
«Sono per la maggior parte i moderati, sono i nostri elettori naturali. Alla politica non chiedono slogan, battute ad effetto, conflitti continui come quelli che sia Renzi sia Grillo sono bravissimi ad alimentare. Il teatrino della politica a questi italiani non interessa più, come non piace e non interessa a me. Per questo mi sento vicino alle ragioni di chi non vota, e però a loro dico che stare a casa significa rinunciare alla speranza di decidere il futuro dei nostri figli. Non occuparsi di politica vuol dire rassegnarsi a non influire su qualcosa che prima o poi comunque ci riguarda direttamente. Lo Stato che non funziona, le tasse che strangolano persone e imprese, il lavoro che non c’è, gli sbarchi incontrollati dei clandestini, la criminalità che si diffonde, sono tutte cose che non dipendono dal destino. Dipendono da scelte della politica».
Presidente, dia un giudizio su questa legislatura.
«Fallimentare. Il Pd ha fallito in tutti questi anni: da quando con un incruento colpo di Stato ha abbattuto il nostro governo nel 2011, l’ultimo scelto davvero dagli italiani, le cose sono andate sempre peggiorando. I numeri e le statistiche lo dimostrano. Del resto, lo spettacolo è sotto gli occhi di tutti: in cinque anni abbiamo avuto quattro governi non eletti, con quattro premier diversi, una legislatura che è diventata un congresso permanente del Pd. In queste condizioni come stupirsi della situazione delle imprese e dei lavoratori?
Perché non teme Grillo? Non crede che lo sta sottovalutando?
«Perché gli italiani votano con testa e con le tasche come è giusto che sia. Grillo al governo significherebbe tasse ancora più alte sulla casa, una imposta patrimoniale immediata, tasse di successione a livelli stratosferici, addirittura al 45 o al 50 per cento. Insomma, una decrescita infelice e angosciante».
Qualcuno del centrodestra ha affermato che i grillini sono dilettanti allo sbaraglio. Lei cosa ne pensa?
«Non cadiamo nell’equivoco: non sono dilettanti, sono i veri professionisti, anzi i mestieranti della politica. Sono semmai dilettanti nella vita, la gran parte di loro non ha mai lavorato, non ha mai realizzato nulla, non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi prima di entrare in Parlamento. Per loro la politica è il mestiere per mantenersi, e infatti sono disposti a dire e fare qualsiasi cosa, ad accettare i continui cambiamenti di linea dei loro capi, pur di conservare il posto in Parlamento. La loro politica è pura tattica, senza valori».
Mi pare che lei abbia già chiaro l’asset della sua campagna elettorale. Quanto confida nel cambiamento della legge elettorale e soprattutto su che modello?
«Quello che mi interessa è che si riparta dall’unico metodo sul quale si era trovato un largo consenso: il sistema tedesco adattato alla situazione italiana. Se a maggio, prima delle amministrative, i quattro maggiori partiti si erano trovati d’accordo su questa formula, fino a votarla insieme in Commissione alla Camera, non vedo una ragione per la quale a settembre dovrebbero avere un ‘idea diversa. Per quanto ci riguarda, il sistema votato a maggio alla Camera costituisce così com’è un buon punto di equilibrio. Se altri hanno buone idee per migliorarlo senza stravolgerlo,tanto meglio».
Pensa che Renzi possa accettare un eventuale premio alla coalizione?
«Lo deve dire lui, non certo io. Però, mi consenta, qui non siamo in un consesso di costituzionalisti. Si tratta di dare una risposta al Paese su un tema cruciale, su cui il capo dello Stato con grande equilibrio ha più volte richiamato l’attenzione. Ed è la possibilità per il Paese di avere un governo che governi con maggioranze stabilite sia davvero rappresentativo dei cittadini».
Come giudica la posizione di Renzi?
«Al momento non vedo alcuna iniziativa politica concreta. Finite le vacanze spero che abbia uno scatto da leader ».
Cioè?
«Chi si assumesse la responsabilità di andare a votare con questa legge elettorale, rischia di essere il protagonista di una delle peggiori crisi che l’Italia abbia mai avuto: impossibilità di far nascere un governo,fibrillazione dei mercati, perdita di credibilità internazionale».
Recentemente lei è tornato a confrontarsi con Salvini. Il leader leghista ha accettato la proposta di affidare la leadership del centrodestra al partito che otterrà il miglior risultato nelle urne. Può essere questa la via per comporre le rispettive ambizioni e delegare la scelta del candidato premier all’elettorato?
«Nelle grandi democrazie funziona così: quando governa una coalizione normalmente è il partito più forte di quell’alleanza ad esprimere il premier. Il centrodestra tutto unito dopo le elezioni proporrà quindi al capo dello Stato il nome indicato dalla forza politica che avrà il maggior consenso. Invece di inutili primarie, viziate da brogli ed episodi di malcostume, questo mi sembra un metodo assolutamente democratico: scelgono i cittadini, con il voto. È davvero ora che gli italiani possano farlo: da troppi anni si alternano governi mai votati dagli italiani». (continua)
di Fabrizio de Feo (Il Giornale)
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