Comunali, liberali e coalizioni. La lezione di Jep Gambardella

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Milano 27 Giugno – No, questo non intende essere un articolo serio e pesante. Ma di sicuro è un articolo che si basa sul Presidente e sul suo discorso post elezioni. Abbiamo vinto sì, ma questo deve essere lo sprone per creare una coalizione autenticamente liberale. Ecco, appunto. Forse questo è sfuggito a qualcuno, ma chi ha vinto, almeno nelle sfide più importanti, è il ritratto di questo. Siamo tutti felici per Fratus a Legnano, ma dove il Salvinismo si è rifiutato di tingersi di liberalismo il disastro è stato inevitabile. Parma è abbastanza paradigmatica, ma nulla ed intendo nulla, in confronto a quello che successo a Padova. Padova è l’esempio lampante di quanto Berlusconi abbia ragione. Caduto dopo solo due anni e mezzo per manifesta incapacità di gestire la coalizione, Bitonci ha deciso di fare una campagna per il ballottaggio agghiacciante. Basata su stereotipi, odio e calunnie, ha chiamato a raccolta le truppe per un’ipotetica apocalisse che avrebbe travolto la città se il candidato civico avversario avesse vinto. Questo, a scanso di equivoci, è l’opposto di una campagna civica. Il risultato? Aveva undici punti di vantaggio ed ha perso con un distacco di otto. I suoi si sono mobilitati in massa, ma altrettanto hanno fatto gli altri. Tutti gli altri. Anche parti considerevoli del centrodestra. Ecco, questo è il punto. L’elettore liberale non si muove per chiamata alle armi ed odio per il nemico. Lo fa perché crede in qualcosa e vuole costruire un mondo migliore. E non è automaticamente fedele alla linea del partito o della coalizione. Ecco perché è un target primario: se non si decide di adottarne i valori, andrà altrove. Siamo, prima di ogni altra cosa, uomini e donne liberi. Salvini fatica a capirlo. E questo fa di lui un leader immaturo.

Per lui il liberalismo è una categoria dello spirito. Se lo faccia spiegare da Bitonci, che ora ha un sacco di tempo libero a disposizione. Il liberalismo è una cosa molto concreta: spendere meno, pagare meno tasse. Ridurre il perimetro dello Stato. Evitare pericolose avventure e dannosi protezionismi. Questo è l’essere liberali. E non è affatto qualcosa di fuori moda. A Lodi i liberali hanno preso il 16% e sono stati decisivi per la vittoria. Ma anche Genova, che ha puntato tutto su un manager, ha un sindaco che è difficile non definire liberale. Alla domanda sul primo provvedimento, la risposta non è stata organizzare una retata, espellere i profughi o organizzare ronde. È mettere a posto i conti delle partecipate. E magari, ma questo lo aggiungo io, venderle. Insomma, di certo Salvini è tra i vincitori. Ma se ci vuole rimanere farebbe meglio a smetterla di disprezzarci. Noi liberali abbiamo una memoria lunga e pochissima predisposizione alla sopportazione. Ed ancora meno disciplina di coalizione. E, se ancora Salvini non fosse convinto di quanto scrivo, ne riparli con Bitonci. Lui ha scoperto che provare a vietare l’apertura di ristoranti in centro, se non rispettavano i suoi gusti alimentari, poteva essere letale per il suo essere sindaco. Per dirla con le parole, parafrasate, del protagonista della Grande Bellezza, Jep Gambardella:

“Quando scesi in politica in Italia, come liberali e conservatori, 20 anni9 fa, siamo precipitati abbastanza presto, quasi senza rendercene conto, in quello che potrebbe essere definito “il vortice della elettività”. Ma noi non volevamo essere semplicemente eletti. Volevo diventare il motore della vittoria del centrodestra, e ci siamo a volte riusciti. Noi non volevamo solo partecipare alle elezioni col centrodestra. Volevamo avere il potere di farlo fallire”.

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