I MORTI DEL TRIBUNALE DI MILANO DIMOSTRANO, ANCORA UNA VOLTA, COME QUESTO PAESE NON ABBIA NEL SUO DNA LA CULTURA DELLA SICUREZZA.

Milano

Milano 10 Aprile – La tragedia di ieri mattina è il frutto dell’italica superficialità con cui vengono affrontati temi delicati ed importanti come, appunto, la gestione delle emergenze e la tutela della sicurezza pubblica.

Per capire come sia stato possibile, infatti, che Claudio Giardiello, dopo essere entrato in tribunale con una pistola, abbia compiuto la sua mattanza e, al termine, ne sia uscito indisturbato, bisogna fare un passo indietro di qualche anno. Quando la sicurezza dei palazzi di giustizia era garantita dai carabinieri. L’Arma si occupava, oltre che della traduzione dei detenuti, della vigilanza dei plessi e dell’assistenza nelle aule dibattimentali. Esisteva per queste incombenze un reparto ad hoc, il Nucleo Tribunali e Traduzioni.

Negli anni Novanta, con la riforma della polizia penitenziaria, cambia tutto. L’Arma cessò di occuparsi di traduzioni dei detenuti. E cessò anche di occuparsi della vigilanza dei tribunali, dedicandosi solo all’assistenza nelle aule dibattimentali.

I carabinieri furono sostituiti, nella vigilanza dei tribunali, dalle guardie giurate. La motivazione era quella di ottimizzare le risorse, destinando il personale in servizio pressi i tribunali al controllo del territorio.

Sulla carta tutto bene. Tranne il fatto che anche l’onere della vigilanza dei palazzi di giustizia venne di colpo scaricato sui comuni. Perché, come forse non tutti sanno, gli stabili che ospitano gli uffici giudiziari sono di proprietà dei comuni, i quali provvedono alla loro gestione: dal verniciare il muro scrostato, al garantire, appunto, la sicurezza dell’immobile. Questa follia italiana, che costa ai comuni 280 milioni di euro l’anno, è frutto di una legge del 1941, la n. 392, che aveva addossato agli enti locali sede degli uffici giudiziari i costi per la loro gestione. Si tratta delle spese per i locali, dalla manutenzione all’illuminazione, dalla custodia all’arredo per finire con la pulizia e le utenze varie (riscaldamento, acqua, telefono e così via). Dal prossimo primo settembre, salvo imprevisti, sarà il ministero della Giustizia a farsi carico delle citate incombenze, dando cosi una boccata d’ossigeno alle disastrate finanze comunali.

Il comune di Milano, per la cronaca, spende per il suo palazzo di giustizia circa 23 milioni l’anno.  In questa cifra rientra anche il servizio di vigilanza che viene affidato, visto l’importo, con una gara d’appalto. Come tutte le gare pubbliche il criterio per la scelta del vincitore è quello del massimo ribasso. E come è possibile garantire la sicurezza risparmiando? Semplice: affidando la vigilanza, oltre che a delle guardie giurate, a dei semplici portieri. Che hanno un costo orario nettamente inferiore rispetto alle guardie giurate. I portieri sono soggetti disarmati, privi della qualifica di guardia particolare giurata, con requisiti soggettivi e percorsi formativi diversi. Possono svolgere le funzioni di portieri, ad esempio, anche cittadini non italiani e obiettori di coscienza. Una persona normale noterà subito questa situazione surreale: si affida la sicurezza del tribunale di Milano, uno degli obiettivi più sensibili d’Italia, a dei semplici custodi. Come se fosse il parcheggio di un centro commerciale. C’è da ridere, per non piangere, a pensare che in caso di minaccia armata, come per il tragico fatto di ieri, il portiere/custode possa reagire solamente a mani nude.

Ma oltre a questa “particolarità”, la tragedia di ieri ha confermato che l’Italia è il paese delle caste.  Perché, come chiunque si sia recato in tribunale a Milano ha potuto verificare, gli avvocati, ma anche i semplici praticanti, hanno un varco riservato. Un ingresso tutto loro, dove non si viene controllati con il metal detector. I responsabili delle sicurezza del tribunale di Milano hanno stabilito che nessun avvocato possa introdurre armi e compiere gesti inconsulti. Una certezza che dopo il caso del pilota tedesco Lubitz, forse, andrebbe rivista.

A queste domande qualcuno dovrebbe rispondere. Prefetto, Sindaco, Presidente della Corte d’Appello. Per evitare che fra qualche giorno tutto torni come prima.