La forza popolare della Primavera di Praga 50 anni dopo

Attualità

Ma ormai a chi interessa più? Sono passati 50 anni da quell’agosto in cui il sogno di un  comunismo dal volto umano si infranse in quella piazza disadorna, ma pulsante di idee, di buoni propositi, di infinita speranza. La chiamarono Primavera di Praga per dare gentilezza ad un futuro, dove sarebbe sbocciata la democrazia, dove il dialogo avrebbe preso il posto dell’imposizione, dove l’uguaglianza avrebbe cancellato le differenze sociali. Un lampo, una primavera. E a nulla valse il  sacrificio di  Jan Palach, a nulla valsero gli atti dimostrativi, l’infinita folla silenziosa che si affidava sicura, le dichiarazioni di Dubcek.

Quando la piazza fermò la sua vita /sudava sangue la folla ferita, /quando la fiamma col suo fumo nero /lasciò la terra e si alzò verso il cielo”, cantava Guccini. E ancora “Dimmi chi sono quegli uomini lenti / coi pugni stretti e con l’odio fra denti; /dimmi chi sono quegli uomini stanchi / di chinar la testa e di tirare avanti;/
dimmi chi era che il corpo portava,/la città intera che lo accompagnava:/la città intera che muta lanciava /una speranza nel cielo di Praga”

Jan Palach scrisse poche parole di testamento “”Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo è costituito da volontari, pronti a bruciarsi per la nostra causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero 1, è mio diritto scrivere la prima lettera ed essere la prima torcia umana. Noi esigiamo l’abolizione della censura e la proibizione di Zparvy (il giornale delle forze d’occupazione sovietiche). Se le nostre richieste non saranno esaudite entro cinque giorni, il 21 gennaio 1969, e se il nostro popolo non darà un sostegno sufficiente a quelle richieste, con uno sciopero generale e illimitato, una nuova torcia s’infiammerà”.

Il suo gesto fu un gesto di libertà, contro tutte le tirannie, di qualsiasi colore esse abbiano la parvenza. Dopo pochi mesi ritornò il grigio della restaurazione.
Ancora oggi non capisco perché la rivoluzione del ’68 abbia guardato altrove: Jan Palach rimane un eroe senza macchia.

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