La morte di un aspirante profugo non fa rumore

Milano

Milano 30 Gennaio – Dieci righe in cronaca e due frasi di circostanza di Majorino. E tant’è. Il suicidio di un aspirante profugo fa rumore solo se possiamo solo se avviene a favore di telecamere e si può accusare qualche Veneto a caso di razzismo per non averlo salvato. Questo Eritreo anonimo, invece, è volato verso la morte, senza un cameraman a disposizione, quindi il suo nome si perderà nel vento freddo che avvolge il cuore dell’inverno. Dietro però lascia una serie di domande di una discreta gravità.

Il richiedente asilo stava chiedendo la stessa cosa da sei anni. Sei. Anni. Era arrivato nel 2011. Esattamente, in sei anni, come è possibile che non si sia riusciti a decidere se fossero meno un vero profugo? L’anno scorso, preso probabilmente da comprensibile disperazione, ci aveva provato in Repubblica Ceca, ovviamente fallendo il tentativo e venendo rimandato indietro. Sapete, il trattato di Dublino esiste e funziona discretamente bene. Tornato qua, dopo qualche mese, nonostante la terapia psichiatrica fornita, ha deciso di prendere il volo e non tornare più. Ecco, io non so se i mezzi del comune di Milano siano potenti o meno. Certo è che qui qualcosa non ha seriamente funzionato.

E non ha funzionato nemmeno a livello informativo. Dove sono le inchieste giornalistiche che ci raccontano i dettagli? Dove sono le domande, insistenti, alla politica? Dove sono le sentinelle della democrazia? L’unico dettaglio fornito è che il ragazzo era seguito dall’etnopsichiatria. Non quella normale, dove andiamo noi comuni mortali. No, quella etno. Perché non aveva una psiche come la nostra, la sua era etnica. Boh, vedranno loro, resta il fatto che i dettagli sono vaghi e senza focus. E viste le news internazionali non avremo un approfondimento. Intanto un ragazzo, anonimo, è volato nel vento che circonda il cuore dell’inverno. Addio e che la terra ti sia lieve.

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