La vicenda della tragica morte del Carabiniere Rega Cercelli è sempre più chiara. E, con una punta di cinismo, ci troviamo a sperare che la luce non illumini proprio tutti gli angoli. È una speranza infantile, destinata ad essere smentita, naturalmente. Però resta, fiera e tenace, nei nostri cuori. Ed è solo l’ultimo e più innocente frutto di una giornata di follia in cui tutti (inclusa parte della sinistra) abbiamo (io no, ma mi ci metto dentro lo stesso) dato il peggio di noi sui social network. Iniziamo dai fatti: l’identikit inizialmente diffuso parlava degli aggressori come di “due nord Africani”. Perché? Era chiaro a tutti i coinvolti, o avrebbe dovuto esserlo, che erano anglofoni. Come è potuto succedere?
La scena, ormai pare assodato, è quella di due ragazzi che volevano sballarsi, non ci riescono, prendono una sola, si arrabbiano e ricattano lo spacciatore rubandogli il borsello. O lo zainetto. Non è importante. Quello che è importante è che questo galantuomo riesce a mettersi in contatto coi carabinieri. I quali vanno a recuperargli lo zainetto. Qui inizia la parte folle: perché non mandano lui con cento euro in mano? Voglio dire, i due ragazzi si sarebbero aspettati certamente di vedere il derubato solo. Non due sconosciuti. Da lì inizia una colluttazione. Cosa l’ha innescata? L’essersi identificati come Carabinieri? Probabilmente. Solo che i due arrestati negano: dicono di non averlo saputo che erano della polizia. Probabilmente mentono, è naturale. Ma qual è la loro versione? Saperlo rischia di essere determinante.
In questa foresta di punti di domanda è cresciuto un sottobosco velenoso. In cui sono nati insulti, recriminazioni e una ridda di commenti allucinante. Che non si è fermata nemmeno davanti ai fatti. Si diceva che nelle prime ore si cercavano due Nordafricani. Questo dettagli ha acceso un lago di benzina che brucia tutt’ora. Con tanto di foto segnaletiche false. Appena scoperto l’inghippo si è iniziato a sentire, in lontananza, un patetico fischiettare. Pochissimi hanno avuto la dignità di dire che si sono sbagliati. Cosa che capita a tutti. No, si è ricominciato con il “non mi interessa della nazionalità”. “Basta che li condannino”. Balle, e dovremmo prenderne atto. In questo marasma, Salvini non ha pestato la mina. E ci credo, è il Ministro degli Interni. Però il suo tocco dadaista l’ha dato ugualmente: lavori forzati per i colpevoli. Con apposita legge retroattiva ad personam, suppongo.
In generale, da liberale, non ho mai sentito così ferocemente la mancanza di garantismo in questo paese. La voglia di linciaggio. L’anticipazione del sangue. A prescindere da quello che ragione e buon senso possano dire. Le regole esistono perché, Dio non voglia, se al posto di prendere i due Americani a colpo sicuro, due magrebini a caso fossero finiti dentro si potesse farli uscire indenni. E nulla toglie che, prima o dopo, la parte da appurare fino in fondo riguarderà anche quel particolare: chi e perché ha parlato di Nordafricani? Uno di quegli angoli che preferiremmo che restassero al buio. Ma che dobbiamo, anche se ci farà male, illuminare. La verità non è negoziabile. Il garantismo nemmeno.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,