Si può recensire un reportage? Non so, non si usa. Ma se questo reportage parla di un’umanità sofferente, dimenticata, con un’impaginazione grafica esemplare, pittorica, senza retorica, forse sì.
“Storie dal buio del carcere” di Vincenzo Metodo è un’esclusiva pubblicata da Il Giornale, con la luce di una verità che suggerisce riflessione, partecipazione. E’ da subito un racconto di volti in primo piano, con l’ineluttabilità di un dolore che si consuma ogni giorno, con la rassegnazione di un tempo ripetitivo e stanco, con il rimpianto negli occhi di ciò che poteva essere e non è stato. E la narrazione di una vita sbagliata o la spavalderia di chi considera l’illegalità un lavoro come un altro o, ancora, la solitudine di chi si sente raggirato dalle circostanze, non nascondono, comunque, il disagio e “la malinconia della libertà” (Si rimanda alla lettura dell’articolo per ascoltare le voci, i sentimenti di uomini che hanno trasgredito e sono stati giudicati, ma cercano uno spicchio di luce per sopravvivere)
E allora ci si chiede: in una società giusta, con una politica meno urlata e contrapposta che sappia ascoltare, quanti avrebbero potuto accedere a un lavoro e salvarsi? Sì, è una riflessione semplicistica, praticamente ingenua. Ma oggi quel dialogo che circoscrive le ragioni dell’uno e dell’altro e diventa scambio di opinioni e di idee, nel quotidiano e nella politica non esiste più. La dialettica è diventata monologo, il coltello fa la giustizia, la realtà virtuale è un metodo di sfogo e di comunicazione, la gara a chi urla più forte un modo per imporre la propria verità.
E che importa se la gente comune cerca quello spicchio di luce e di giustizia per sopravvivere?

Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano