Milano 10 Agosto – Silvio Berlusconi rilascia un’ampia intervista a Il Giornale rispondendo a tutti gli argomenti di attualità e delineando il suo progetto di governo. Abbiamo suddiviso in due parti il testo integrale; quella che oggi pubblichiamo è la seconda parte dell’intervista, la prima è stata pubblicata ieri.
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Saldare le varie anime del centrodestra oggi è più o meno difficile rispetto al ’94 quando iniziò la sua avventura politica?
«Molto più facile. Allora si trattava di creare dal nulla una coalizione capace di raccogliere i moderati in alternativa alla sinistra, mettendo insieme forze politiche che a stento si parlavano. Per questo fui costretto a scendere in campo personalmente, dopo aver pregato tutti i protagonisti di allora, da Segni, a Martinazzoli, a Bossi, di prendere loro l’iniziativa. Oggi si tratta semplicemente di riproporre a livello nazionale la coalizione che ha governato per molti anni con ottimi risultati e che governa anche oggi molto bene la Lombardia, il Veneto e la Liguria, oltre ad aver vinto in molti comuni».
Per rinfrescare la memoria agli elettori quali sono stati i traguardi più importanti realizzati dai vostri governi?
«È vero, li si dimentica troppo spesso. Sono state 36 le riforme che siamo riusciti a realizzare, più di quello che erano riusciti a fare i 50 governi che ci avevano preceduto. Abbiamo abolito le tasse sulla casa, l’imposta sulle donazioni e quella sulle successioni. Quando governavamo noi !’immigrazione clandestina era stata praticamente bloccata, arrivavano in un anno i migranti che oggi arrivano in un weekend. La disoccupazione era sotto la media europea di due punti, e oggi da anni è costantemente sopra quella media. Se oggi l’Italia è più corta, se si può andare in treno da Napoli a Milano in poco più di 4 ore, e da Milano a Roma in meno di tre, è perché noi abbiamo voluto e realizzato l’alta velocità ferroviaria. Se oggi le strade sono più sicure e la mortalità è dimezzata è perché abbiamo introdotto la patente a punti e riformato il codice della strada. Se oggi è diventato costume di civiltà non fumare negli ambienti chiusi, persino nelle case private, è grazie alle norme introdotte da noi, che vietano di fuma re nei locali pubblici, e che hanno provocato un drastico calo delle malattie e dei decessi legati al fumo. Potrei continuare a lungo, ma mi limiterò a questo: credo gli italiani non abbiano dimenticato che in poche settimane abbiamo cancellatola vergogna dei rifiuti per strada a Napoli e in Campania, e in pochi mesi abbiamo dato un tetto sicuro e confortevole alle vittime del tragico terremoto dell’Aquila. Non credo infine che abbiano dimenticato la nostra grande politica estera, basata anche sui miei rapporti personali. Il punto più alto lo abbiamo raggiunto a Pratica di Mare nel 2002, quando indussi Bush e Putin a firmare lo storico accordo che pose fine alla Guerra fredda, a mezzo secolo di terrore e di angosce per il mondo».
In questi giorni si è riaperto il dibattito sui fatti del 2011, a partire dalle circostanze che portarono all’intervento in Libia. Se ripensa a quell’anno, a quello che lei definisce il «quìet coup d’Etat» (il dolce colpo di Stato) che portò al governo Monti e poi ai successivi governi Letta, Renzi e Gentiloni, Napolitano, come dice Salvini, andrebbe processato?
«Sarebbe opportuna una seria e rigorosa analisi storica e politica dell’accaduto. In entrambi i casi ci troviamo di fronte a un ruolo dell’allora capo dello Stato che va oltre quello di notaio e arbitro. Nel senso che, muovendosi nell’ambito delle regole formali, esercitò una innegabile pressione sostanziale sia in un caso sia nell’altro. Negare che l’allora capo dello Stato esercitasse una moral suasion che travalicava le prerogative presidenziali, a cui si attiene fermamente l’attuale inquilino del Colle, è molto difficile. Ed è difficile, poi, ripristinare un clima di fiducia nelle istituzioni di fronte all’ipocrisia dei professionisti della politica».
Si spieghi meglio.
«Se vogliamo che la politica rinasca, dobbiamo rifiutare con grande fermezza la logica dell’intrallazzo, del tradimento, dei giochi di potere. Ricordo che in quell’occasione del 2011 non fui umiliato io, ma l’Italia, quando mi fu impedito di mantenere gli impegni presi con l’Europa, e questo diede l’occasione a Sarkozy di mettere in ridicolo il nostro governo ostentando sorrisi sarcastici in una conferenza stampa, costruita ad arte, nella quale fu coinvolta suo malgrado anche la signora Merkel. Io stavo difendendo con ogni mezzo la nostra sovranità dai tentativi di imporre il commissariamento della nostra politica economica da parte della cosiddetta “troika”, Nel frattempo, le più alte cariche dello Stato lavoravano per sabotare i miei sforzi, ovviamente in accordo con la sinistra, che si dimostrò del tutto indifferente all’interesse nazionale. È questa la cosa più triste di tutte».
Lei è impegnato da tempo in un intenso lavoro di ascolto dei rappresentanti delle professioni, l’industria, del lavoro. Quali frutti sta producendo?
«Ho incontrato e continuerò anche nel mese di agosto ad incontrare i vertici di molte categorie produttive: a tutti propongo di indicarci persone che ritengano adatte e disponibili ad impegnarsi direttamente con noi, in Parlamento e al governo, in una scommessa decisiva per cambiare l’Italia. Da parte nostra c’è l’impegno a trasformare in progetti di legge i temi che stanno più a cuore alle singole categorie, naturalmente non in contrasto con i nostri valori liberali e con l’interesse pubblico. I temi ricorrenti sono l’oppressione fiscale, burocratica e spesso giudiziaria che rendono davvero difficile e talvolta eroico investire, mandare avanti un’impresa, svolgere una professione nel nostro Paese».
Tornando alla Libia e al dossier immigrazione. Il governo, dopo aver proposto lo ius soli e promosso la missione navale al largo della Libia, cerca di recuperare terreno. Si tratta di interventi credibili?
«Assolutamente tardivi e insufficienti. Tuttavia abbiamo espresso il nostro sostegno parlamentare ad una scelta, quella della missione in Libia, che riprende -sia pure in ritardo e in modo insufficiente -la strada che noi avevamo indicato inascoltati da anni. Poiché per noi !’interesse nazionale viene prima del colore politico dei provvedimenti, abbiamo deciso di dare il nostro voto favorevole alla missione. Non è però un ‘apertura di credito infinita: fin da settembre verificheremo puntualmente quello che accade in realtà. La strada da seguire è una sola: impedire, come noi avevamo fatto all’epoca di Gheddafi, che i migranti lascino le sponde libiche. È necessario raccoglierli in strutture apposite, sotto l’egida e il controllo internazionale, e qui procedere alla verifica dei requisiti dei richiedenti asilo. Chi ha diritto allo “status” di rifugiato -ricordo che sono solo il 3-4% dei migranti -deve poter raggiungere l’Europa in condizioni di dignità e sicurezza. Per tutti gli altri c’è solo la strada del rimpatrio».
Perché i migranti devono sbarcare in Italia, anche quando vengono soccorsi da navi francesi, spagnole, tedesche?
«Perché il governo Renzi ha firmato un accordo che prevede proprio questo. C’è chi dice che lo abbia fatto per uno scambio politico di profilo molto basso: tutti i migranti all’Italia, in cambio di una certa flessibilità sui bilanci che consentisse manovre elettorali come gli 80 euro in busta paga. lo non ci voglio credere. Il problema però rimane, e non ha nulla a che vedere con gli accordi di Dublino: i migranti sbarcano tutti in Italia, nei porti del nostro sud, già gravato da tanti problemi a da tante emergenze. Se l’Europa avesse una visione all’altezza del suo compito, dovrebbe fare tutt’altro: far valere il suo peso politico ed economico per costringere i Paesi della sponda sud del Mediterraneo a bloccare le partenze, e i Paesi di origine dei migranti ad accettare i rimpatri. È esattamente quello che avevamo fatto noi, e che venne distrutto dallo scellerato appoggio francese ed americano, di Sarkozy e di Obama, alle cosiddette “primavere arabe”, con le conseguenze drammatiche che tutti conosciamo».
Quale sarà il primo provvedimento che adotterà in caso di vittoria alle Politiche?
«La riforma del sistema fiscale e del welfare: basta tasse sulla casa, basta tasse sulla famiglia,basta tasse sulla prima auto. Una grande riforma fiscale che introduca la flat tax, l’aliquota unica per le persone e le imprese, molto più bassa dei livelli attuali soprattutto per il ceto medio, così da attenuare l’esasperata progressività che oggi scoraggia la crescita e gli investimenti. Una “no tax area” per quanto riguarda i primi 12.000 euro annuali di reddito: chi guadagna meno di quella cifra non paga nulla, chi guadagna di più paga soltanto sulla parte restante. Quindi chi ha un reddito di 13.000 euro calcola le tasse solo su 1.000, chi ha un reddito di 20.000 solo su 8.000 e così via. Al tempo stesso attueremo una rivoluzione per chi vive sotto la soglia di povertà. Un grande numero di italiani, in costante drammatico aumento. Parlo di più di 15 milioni di persone, delle quali 4.750.000 in condizioni di povertà assoluta, vale a dire costretti a dipendere per mangiare dalla carità privata o dalla pubblica assistenza. A tutti loro garantiremo, nel quadro di una complessiva riforma del welfare, un “reddito di dignità” ispirato alle idee del grande economista liberale Milton Friedman sull’imposta negativa sul reddito. Sotto una certa soglia non solo non si pagano tasse, ma è lo Stato che integra il reddito fino al necessario per vivere dignitosamente, naturalmente a condizione che chi lo percepisce sia in regola con la legge, con l’obbligo scolastico per i figli ecc. Proprio per questo lo abbiamo chiamato “reddito di dignità”».
In questi mesi lei è stato immortalato in un McDonald’s, ha scelto i viaggi in treno piuttosto che sui suoi aerei privati, si è concesso bagni di folla tra la gente comune. Le è mancato nei mesi post-operazione questo tratto popolare della sua leadership? E questo legame con la gente comune può ancora essere la carta vincente di quest’ultima sfida?
«lo non ho mai tollerato l’idea di vivere chiuso nel “palazzo” della politica e di non fare quello che fanno tutte le altre persone come me, come prendere un treno, entrare in un negozio, fare una passeggiata. Purtroppo mi limitano gli obblighi di sicurezza che mi vengono imposti, e che cerco per quanto posso di eludere. Sono anzi molto grato ai ragazzi che mi seguono ovunque per occuparsi della mia sicurezza. Ormai sono soprattutto amici , qua si familiari,di grande professionalità e totale disponibilità. So che non rendo loro la vita facile, anche perché ogni volta che mi reco in un luogo pubblico, anche un negozio o un ristorante, oppure cammino per strada, succede una cosa straordinaria:la folla mi si assiepa intorno, fino a bloccare strade e marciapiedi. Centinaia di persone ogni volta, chi per curiosità, molti di più per esprimermi stima,affetto, gratitudine. Non posso negare che mi faccia piacere sentire il calore degli italiani, che non mi è mai mancato, neppure nei giorni dell’intervento. Sa che abbiamo dovuto vietare alle persone di organizzare veglie di preghiera per me sotto le finestre del San Raffaele’? È a quest’Italia meravigliosa che sono legato da un vincolo profondo, da un impegno d’onore ad andare avanti, a non smettere di combattere fino a quando non avremo vinto. E per vincere non intendo soltanto prendere un voto in più alle elezioni, intendo la grande rivoluzione liberale che da troppo tempo l’Italia sta aspettando ».
C’è chi sostiene che la formula perfetta per vincere le elezioni consista nel presentarsi come un antisistema in doppiopetto. Lei si riconosce in questa definizione?
«Diffido un po’ degli slogan, ma una cosa è certa: molti milioni di italiani sono arrabbiati con uno Stato, un sistema pubblico, un regime di partiti, che li hanno ridotti in queste condizioni. La gran parte di questi italiani sono persone per bene, moderati nelle idee, con solidi valori di riferimento. Persone che credono nella famiglia, nel lavoro, nella dignità sociale. Se il “doppiopetto” rappresenta questo, allora sono orgoglioso di rappresentarli, ma soprattutto di rappresentare la loro legittima rabbia e la loro legittima voglia di cambiare tutto».
di Fabrizio de Feo (Il Giornale)
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