Non siamo al sicuro

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Milano 14 Novembre – Non era al sicuro, Jihadi John, che ora sia ferito pesantemente o già morto non cambia, non era al sicuro, nemmeno a Raqqa, nemmeno nell’allucinata capitale di quello scherzo macabro della Storia che è il Califfato.

Noi non siamo al sicuro, lo sappiamo bene, da quattordici anni, da un maledetto mattino di Manhattan, non siamo al sicuro se scendiamo in metropolitana in una capitale europea o se prendiamo un aereo per Sharm, lo sappiamo, lo sappiamo fin troppo, e a volte non vediamo il rovescio del dramma. Neanche loro sono al sicuro, nemmeno nell’anfratto più recondito del delirantemondo islamista e medievale che hanno costruito, e che verrà spazzato via. Verrà spazzato via perché l’Occidente è superiore, l’Occidente ha impiantato su un’anomalia chiamata pensiero filosofico e scientifico un’altra anomalia chiamata tecnologia, l’Occidente si è inventato i droni che stanno in volo per ore senza pilota, sembrano una realtà impalpabile, ma quando colpiscono squarciano la carne e pongono i tagliagole dove meritano di stare, nel nulla. Anche nelle condizioni iperlimitate e perennemente ambigue della guerra al terrorismo al tempo del riluttante Obama (un po’ meno riluttante ultimamente, vedi l’offensiva curda a tenaglia, dal nord dell’Iraq alla Siria, sostenuta da pesanti bombardamenti Usa e con ogni probabilità anche da truppe speciali sul terreno), la tecnica e la competenza occidentali sono talmente superiori che mettono in scena unraffinato lavoro d’intelligence a Raqqa, sul terreno più difficile al mondo, individuano gli obiettivi e li passano al Pentagono, che riesce a colpirli. A Raqqa. Dove vige la sharia più bestiale e letterale (sì, perché il Califfo non fa niente che non sia preso dalla lettera del Corano, dovrebbe averlo chiarito a sufficienza il lavoro di Magdi Allam), dove l’Isis controlla talmente le esistenze che se ascolti musica “infedele” ti prendi 100 frustate, se sei donna e mostri un centimetro di pelle ti torturano fino a dilaniarti, se sei omosessuale ti lanciano dal sesto piano, in ogni caso possono tagliarti la testa da un momento all’altro. Era nel cuore del suo Regno del Terrore, Jihadi John, perfino una celebrità, il jihadista dall’accento britannico formidabile animatore della propaganda video e social del Califfato, l’esecutore in mondovisione di tutti gli ostaggi occidentali. Adesso è nel locale ospedale, che come sempre quando viene colpito un alto militante della gerarchia Isis è stato chiuso al pubblico, sofferente o già cadavere, diventa perfino irrilevante. Quel che conta, e dannatamente, è che Mohamed Emwazi, questo il vero nome del boia, non facciamogli il favore di chiamarlo Jihadi John, di trasformarlo in un personaggio pop, e quelli come lui sono braccati, braccati fin nelle loro case, e dalla migliore macchina informativa e militare del mondo.

Erano forze americane e britanniche, quelle che gli davano la caccia da mesi, nel silenzio se non nell’ostilità dei media e di chi in Occidente sta al riparo grazie al loro lavoro, mentre da qualche altra parte della Siria i jet di Putin scaricavano tonnellate di bombe sul Fronte siriano libero, o su qualche banda sparsa di predoni, comunque non sull’Isis, per puntellare il macellaio Assad, che con ogni evidenza è concausa di qualcosa come l’Isis, e si prendevano i titoli e gli applausi di un’opinione pubblica pigra e ormai in preda all’odio di sé, all’odio contro il proprio mondo. Quel mondo non solo è vivo, non solo è di gran lunga il posto migliore dove dimorare e prosperare sulla faccia della Terra, ma ogni giorno dà la caccia a Mohamed Emwazi e a quelli come lui. Non sono al sicuro, e non lo saranno mai.

Giovanni Sallusti (L’Intraprendente)

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