Bellissima e potente la prima supercar stampata in 3D

Scienza e Salute

Milano 2 Luglio – L’aspettavamo. E forse la terza rivoluzione industriale è arrivata per davvero. Ma in sordina, fra le pieghe degli eventi, come — tra l’altro — di solito avviene. Nel senso che, se negli ultimi centocinquant’anni il ritmo dell’economia è stato scandito dalla più manifatturiera delle attività industriali — l’automotive —, forse la presentazione, il 24 giugno a San Francisco, del nuovo bolide della Divergent Microfactories è destinata a segnare la svolta definitiva verso un nuovo capitolo della saga tecnologica mondiale.

La rivoluzione manifatturiera

È la violenza geopolitica della Storia, bellezza, e nessuno la può fermare. La crisi petrolifera del dicembre 1973 prepensionò senza passare dal via la fabbrica tayloristica di Henry Ford e dei fratelli Dodge: da un giorno all’altro le grandi case automobilistiche capirono che il blocco delle esportazioni dei Paesi Opec avrebbe delineato il crepuscolo dell’era della crescita lineare, consegnando l’umanità alla dittatura del microciclo globale. I più svegli capirono immediatamente che, per sopravvivere al mercato, avrebbero dovuto passare dalla meccanica all’elettronica ma, soprattutto, dalla rigidità della catena di montaggio alla flessibilità del Just in time toyotista. E svilupparono ciò che oggi noi conosciamo come il codice di comunicazione internazionale del World class manufacturing (Wcm). Codice su cui Fca, Daimler, Volkswagen, Bmw, General Motors, Toyota, Ford, Hyundai e Tata hanno costruito le proprie piattaforme. E codice che oggi una propellente miscela digitale fatta di design, Cad, licenze Creative Commons e stampa tridimensionale rischia di mettere in discussione.

Il precedente

La prima automobile stampata in 3D è, per la verità, roba vecchia. Ha infatti ormai compiuto quasi un anno (una vita, per i ritmi di oggi). È stata prodotta in poco meno di due giorni (44 ore) all’International manufacturing technology show di Chigago nel settembre 2014. Si chiama Strati (proprio come gli strati di materiale che vengono depositati dagli estrusori della stampante) e il progetto è stato firmato da un italiano: Michele Anoè, un consulente della Inovo Design di Torino.

Una «lama» tecnologica

Quella però era un solo prototipo. Disruptive quanto si vuole, ma sempre e solo un prototipo. Ciò che invece è andato in scena il 24 giugno a San Francisco è qualcosa di davvero differente. E non è un caso se il progetto viene proprio dalla Manchester del 21esimo secolo: la Silicon Valley. 700 cavalli di potenza, 630 chilogrammi di peso, accelerazione da zero a cento in meno di due secondi, motore turbo da 2,4 litri alimentato sia a benzina che a gas, design ipersportivo, Blade — lama — è una vera e propria supercar progettata da Kevin Czinger, ceo e fondatore di Divergent Microfactories.

Una fabbrica differente

Già il nome dell’azienda dice tutto: un «piccolo stabilimento differente». È questa la chiave della terza rivoluzione industriale: la fabbrica delocalizzata e la frammentazione — il più possibile taylor made — della produzione. «Blade — spiga Czinger — non è una vettura ideata solo per l’esposizione al pubblico. È completamente funzionante, creata utilizzando una serie di parti del telaio, tenute insieme da barre di carbonio». Un po’ come un kit Lego gigante, dove i pezzi, però, sono stampati in 3D.

Un taglio alle emissioni

Leggera, economica e, soprattutto, green. La società afferma che la stampa 3D riduce drasticamente l’inquinamento generato dal settore manifatturiero, oltre ai costi di materiali e il capitale associati con la costruzione delle automobili. «Blade — prosegue Czinger — ha un terzo delle emissioni del ciclo di vita di qualsiasi altra auto elettrica e un cinquantesimo del costo del capitale».

Il cuore (intelligente) d’alluminio

Cuore del progetto è un sistema chiamato Node: un giunto in alluminio stampato in 3D che collega pezzi di tubo in fibra di carbonio per compensare il telaio della vettura. Il tutto per risolvere il problema di tempi e spazi, diminuendo la quantità effettiva di stampa 3D necessaria per costruire il telaio, che così può essere montato in pochi minuti. Oltre a tagliare drasticamente materiali e uso di energia, il peso del telaio così realizzato è fino al 90% più leggero rispetto alle auto tradizionali, pur essendo molto più forte e più durevole. «Ciò — conclude il ceo — si traduce in una migliore economia di carburante e minore usura sulle strade».

Obiettivo globale

La Divergent prevede di vendere un numero limitato di veicoli che verranno fabbricati nella propria microfactory. L’obiettivo, tuttavia, è più ampio. Cioè mettere la piattaforma nelle mani di piccoli team imprenditoriali in tutto il mondo, permettendo loro di creare le proprie microfabbriche e costruire le proprie vetture. Una specie di Arduino, in dimensione automotive, tanto che qualcuno ha già ribattezzato il progetto Carduino. Il fordismo — anche se corretto in salsa wasabi — è davvero finito. (Corriere Innovazione)

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