La fotografia scattata davanti al cartello della Scuola Secondaria di Primo Grado “N. Tommaseo” dell’Istituto Comprensivo Locatelli – Quasimodo parla da sola: accanto al nome della scuola campeggia uno sticker con la bandiera palestinese e la scritta “Milano Antisionista”.
Non si tratta di un semplice adesivo: è un messaggio politico e radicale appiccicato sul frontespizio di un edificio pubblico frequentato ogni giorno da centinaia di ragazzi. E il fatto che nessuno l’abbia ancora rimosso è, di per sé, una notizia.
“Antisionista” non è un vezzo linguistico: è una posizione estrema e violenta
È necessario chiarirlo: il termine antisionismo viene spesso presentato come una critica legittima alla politica del governo israeliano. Ma nella prassi dei movimenti militanti – e soprattutto nelle campagne che lo utilizzano come slogan – significa una cosa molto semplice: negare il diritto all’esistenza dello Stato di Israele.
È, in altre parole, la formulazione più trendy e accettabile di un obiettivo politico che coincide con quello di ogni organizzazione terroristica che negli ultimi decenni ha colpito civili israeliani.
Che un messaggio di questo tipo finisca letteralmente sul cartello all’ingresso di una scuola media è un fatto grave. Non solo perché rappresenta la normalizzazione di un linguaggio estremo, ma perché veicola verso i ragazzi un’idea tossica: che l’eliminazione di uno Stato sovrano possa essere una posizione politica come le altre.
Una scuola richiede più sorveglianza, non meno
L’Istituto, trasferito momentaneamente alla Gianni Rodari di via Bottelli, visto che la sede principale sta attraversando una fase di lavori e ristrutturazioni, dovrebbe ricevere dalle istituzioni maggiore attenzione agli ingressi. Se qualcuno ha potuto attaccare indisturbato uno sticker politico sulla targa dell’edificio significa che la sorveglianza è insufficiente. E la rimozione del messaggio non è solo simbolica: è il primo passo per ristabilire un ambiente sicuro, ordinato e rispettoso.
La scuola dovrebbe essere uno spazio sottratto alla propaganda, di qualunque tipo. Normalizzare piccoli atti di vandalismo ideologizzato significa accettare che il confine tra attivismo e intimidazione sia trattabile. Non può esserlo.
Doppio standard evidente: ci sono adesivi che durano, e altri no
C’è un altro punto su cui vale la pena riflettere. Se al posto dello sticker antisionista ce ne fosse stato uno con scritto “remigrazione” o qualsiasi slogan della destra radicale, è difficile immaginare che sarebbe rimasto al suo posto per più di qualche ora. Probabilmente sarebbe stato rimosso prima dell’alba, e con comunicato stampa annesso. La realtà è che esiste un evidente doppio standard: alcune forme di radicalismo vengono considerate tollerabili, quasi “di casa”; altre vengono trattate come emergenze morali da estirpare all’istante. Questa asimmetria è inaccettabile, soprattutto per un’istituzione che dovrebbe essere neutrale, educativa e capace di tutelare il pluralismo senza cadere nella complicità ideologica.
In conclusione
La mancata rimozione dello sticker non è un dettaglio estetico: è il sintomo di un problema più grande. Significa che messaggi estremisti possono appropriarsi dello spazio pubblico senza incontrare resistenza, persino davanti a una scuola. E che la sorveglianza è insufficiente e che la cura degli edifici scolastici – materiali e simbolici – non è una priorità. Significa, soprattutto, che ciò che viene considerato tollerabile o intollerabile dipende più dal colore politico del messaggio che dalla sua natura violenta.
Per una città come Milano, che ama raccontarsi come moderna, inclusiva e attenta ai giovani, tutto questo dovrebbe essere impossibile. Invece accade. E finché gli adesivi rimarranno lì dove sono, il problema continuerà a guardare i ragazzi negli occhi ogni mattina.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.