Negli ultimi anni l’attenzione verso la violenza sui minori ha registrato un crescendo drammatico: non solo per il numero di segnalazioni che emergono, ma soprattutto per la consapevolezza crescente che il fenomeno travalica confini nazionali e tocca intere generazioni. Un quadro utile per orientarsi è quello tracciato dal World Health Organization (OMS) nel suo rapporto globale del 2020 sul maltrattamento infantile, dove si stimava che ogni anno nel mondo circa un miliardo di bambini, uno su due, fosse vittima di qualche forma di violenza, con cifre devastanti: decine di migliaia di morti, milioni costretti a subire punizioni fisiche o psicologiche, trascuratezza, esposizione a violenza domestica, abusi sessuali, sfruttamento. Unicef+2ResearchGate+2
In Europa la situazione non è meno grave. Infatti, un’analisi recente commissionata dal Parlamento europeo ha evidenziato come in molti paesi membri la violenza contro l’infanzia, definita come qualsiasi forma di abuso fisico, sessuale, emotivo, negligenza o sfruttamento nell’ambito di rapporti di fiducia o potere, continui a essere “onnipresente e multifacetica”: non limitata a maltrattamenti fisici, ma anche a violenze psicologiche, trascuratezza, violenza assistita (quando il minore assiste a violenze tra adulti), sfruttamento, abuso online.
Secondo il rapporto regionale dell’OMS per l’Europa, almeno 55 milioni di bambini, su scala europea, vivono esperienze di violenza durante l’infanzia. Una stima precedente, pur con una metodologia diversa, indicava decine di milioni di bambini europei vittime di abusi sessuali, fisici o emotivi. Tuttavia, l’effettiva portata del fenomeno è molto difficile da quantificare: come testimonia la letteratura accademica, una delle barriere principali è la mancanza di definizioni univoche. Solo di recente un gruppo di ricercatori europei ha cercato di stabilire un consenso su termini e categorie di maltrattamento (“childmaltreatment, CM”), per permettere confronti affidabili tra paesi e ricerche.
Anche tra i professionisti sanitari il grado di conoscenza, percezione e preparazione sull’abuso e la negligenza infantile sembra profondamente disomogeneo. Uno studio europeo del 2020, che coinvolse pediatri in diversi paesi, rilevava che molti di loro non disponessero di strumenti coerenti per riconoscere i segnali di maltrattamento o per intervenire adeguatamente, soprattutto in assenza di lesioni fisiche evidenti.
In Italia, le organizzazioni di protezione minorile cercano di dare voce all’infanzia attraverso linee di ascolto che raccolgono segnalazioni dirette. Telefono Azzurro, per esempio, ha registrato un aumento delle chiamate e segnalazioni: nel 2023 la linea 114 “Emergenza Infanzia” ha gestito un numero crescente di casi rispetto agli anni precedenti. Nei primi mesi del 2023, Telefono Azzurro ha gestito 65 casi di abuso sessuale (offline e online), di cui 44 offline e 21 online; molte segnalazioni provenivano da ragazze tra gli 11 e 14 anni, ma anche da bambini sotto i 10 anni. Questo conferma che, anche in Italia, la violenza sui minori non è un fenomeno residuale o confinato: coinvolge fasce d’età molto ampie e spesso resta “nascosta”. Un ulteriore allarme arriva da dati recenti — 2024–2025 — che evidenziano come la maggioranza degli abusi sessuali segnalati tramite linee di ascolto avvenga in contesti di fiducia: solo pochi aggressori risultano estranei; nella maggior parte dei casi si tratta di persone legate al bambino.
Parallelamente, un’analisi europea aggiornata evidenzia come i sistemi di protezione dell’infanzia nei paesi membri, pur evolvendosi, restino molto diversi tra loro: la recente mappatura realizzata dall’European Union Agency for FundamentalRights (FRA) evidenzia che non esiste ancora una definizione condivisa, né una omogenea applicazione di politiche o servizi tra i paesi. Non solo: anche la raccolta di dati, la formazione di operatori sanitari, educativi e sociali, la sensibilizzazione, tutti elementi fondamentali per far emergere la voce dei bambini, presentano lacune. Uno studio-pilota europeo del 2021 nota che, nonostante le evidenti conseguenze a lungo termine del maltrattamento, le strutture pediatriche spesso non sono preparate ad affrontare casi complessi di abuso e trascuratezza, e che la definizione stessa di “maltrattamento” può variare da paese a paese. Da questo emerge un paradosso: da un lato, la portata del fenomeno è enorme; dall’altro, gran parte delle statistiche e delle politiche, si basano su una frazione probabilmente molto limitata della realtà. In questo contesto, dare voce ai bambini stessi, attraverso linee telefoniche, strumenti di ascolto, interventi sanitari e sociali, diventa fondamentale per avvicinarsi alla verità.
In Italia, pur con impegno crescente, esiste un divario tra quello che emerge dalle segnalazioni e quello che probabilmente resta sommerso. Studi come Cesvi, con il suo “Indice regionale sul maltrattamento all’infanzia”, cercano di stimare la “domanda potenziale” di protezione, analizzando fattori di rischio e capacità di risposta dei servizi, ma anche questi tentativi evidenziano quanto sia complesso mappare l’intero fenomeno.
Il confronto con altri paesi europei mostra che le differenze non sono solo culturali o normative: riguardano risorse, priorità politiche, sensibilità sociale, capacità di ascolto delle istituzioni. Secondo l’analisi dell’UE del 2024, solo alcuni Stati hanno sistemi integrati e attivi di protezione dell’infanzia, con legislazioni aggiornate, servizi sociali e sanitari coordinati, e strumenti di monitoraggio robusti; in altri casi, le norme esistono “sulla carta”, ma mancano attuazione, fundings e formazione.
Un’ulteriore sfida riguarda la definizione stessa di “violenza” o “maltrattamento”: la recente ricerca internazionale sottolinea come senza un consenso su cosa includere, fisico, psicologico, negligenza, abuso sessuale, violenza assistita, sfruttamento, abuso online, sia impossibile tracciare comparazioni coerenti, misurare l’incidenza reale, valutare l’efficacia delle politiche.
Alla luce di tutto ciò, si impone un’urgenza: rafforzare la raccolta dati, promuovere la formazione di pediatri, assistenti sociali, educatori, operatori del sociale, creare reti integrate di protezione, ascolto e prevenzione. Ma soprattutto, dare voce ai bambini. Perché sono loro, spesso invisibili, i veri protagonisti: vittime, sì, ma anche testimoni di un male che attraversa i confini e le generazioni.
In un’Europa che dichiara la protezione dei minori come diritto fondamentale, è imperativo trasformare le definizioni in azioni concrete, i numeri in ascolto, le segnalazioni in protezione. Solo così potremo avvicinarci — con realismo e responsabilità — a un mondo in cui “non un bambino su due” debba più temere la propria casa. A proposito di casa «A casa non è mai tranquillo», dice una bambina di dieci anni durante una chiamata alla linea di Telefono Azzurro. La voce è bassa, esitante, ma si percepisce la tensione di chi deve sempre camminare sulle uova. «Quando urla mamma, io mi nascondo nella mia stanza. Ho paura che papà arrivi e faccia male a qualcuno… o a me». Sono testimonianze come queste che spesso non arrivano ai giornali, ma che i professionisti della neuropsichiatria infantile e del sociale ascoltano quotidianamente. Nei centri di emergenza per minori, le parole dei bambini rivelano schemi ricorrenti: paura, senso di colpa, confusione tra responsabilità proprie e dei genitori.
Uno studio pubblicato nel 2022 sulla rivista Child Abuse& Neglect sottolinea quanto sia importante raccogliere direttamente la voce dei minori: i bambini raccontano non solo ciò che subiscono, ma anche il modo in cui percepiscono le relazioni familiari, le paure e i tentativi di proteggersi. I ricercatori europei che hanno analizzato centinaia di interviste con bambini tra gli 8 e i 15 anni hanno osservato che i minori spesso descrivono l’abuso fisico e psicologico come qualcosa di «invisibile agli adulti» o come una costante minaccia che trasforma la loro quotidianità in una serie di piccoli allarmi da gestire.
Yuleisy Cruz Lezcano (Arcipelago)
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