“Quelle cicale sgraziate, stonate, monotone e che altro? Immortali come un chiodo fisso, ma ad ascoltarle bene forse ridono sulla mia vita un po’ troppo estrosa? Un po’ superficiale, un po’ troppo reattiva? Un po’, si fa per dire, sempre o con me o contro di me, ma la vita, si sa, è molto altro, se guardi le sfumature dei fiori e identificarsi sempre con una nobile sterlizia non è essere veri. Ma quel fiore, come un becco d’airone, aveva un’eleganza, un’originalità che mi incantava. In realtà ero piccola, esuberante, curiosa e sì, forse anche simpatica, per una vivacità che non seguiva schemi o preconcetti e mi permetteva di gustare il tempo come un eterno gelato.”
Nel giorno del suo compleanno, il 21 settembre di sessant’anni fa, il padre accompagnava Simona a Milano perché potesse partecipare al concorso di accesso al pensionato dell’Università Cattolica con una borsa di studio. Un po’ di paura per una prova, si diceva, complicata, ma sul tram 25.. “Qui devo fermarmi” si rincuorava, guardando il traffico, le case che si rincorrevano, la gente frettolosa senza respiro. In valigia, Simone de Beauvoir, la sua musa, non troppo casualmente con il suo nome, ispiratrice dei suoi pensieri . “Non voglio in vita mia obbedire a nessun altro che a me stessa.” scriveva.
“…Sento l’odore di una stagione che finisce e di un’altra che nasce, quella che non ci farà accontentare più del sole che avremo e che ci farà pretendere di essere scaldati anche dal suo riflesso nel lago. Nel cielo più alto, ci sono aerei che tentano di ricucire le nuvole che hanno tagliato, ma il vento sbava anche la loro scia….” (Davide Van De Sfroos).
La giornata capricciosa di vento sembrava un presagio, una spinta per il suo personalissimo volo combattivo ma esaltante.
“Approdai in un mondo variopinto, di verità e falsità, di intenzioni taciute e di sentimenti vivi, brucianti…io con il mio “allure” da contadinella naif e altri con l’allure da Vacheron-Constantine, naturalmente regalato per la maturità superata. Non ero stupida, i miei tailleur confezionati dal sarto del paese stonavano come una campana rotta, il bon ton voluto da mia madre mi faceva sembrare una “sciuretta” di periferia, il cappotto in lana di cammello, cercato e acquistato con orgoglio da papà, non poteva gareggiare con le lontre o i castorini, quasi una divisa distintiva di uno status ben preciso. Ci uniformava, apparentemente, un grembiule nero obbligatorio all’interno dell’Università. Ridicola la divisione sociale che si creava: i non abbienti con borse di studio o altri aiuti e i privilegiati con famiglie possidenti. Ridicola e senza senso…l’ombra di Simone de Beauvoir, mi aiutava con la sua particolare forza di volontàe disciplina e il desiderio di costruire la sua vita.”
C’era un albero, rifugio del suo essere farfalla o uccello, nelle sere liquide di nostalgia, nel silenzio e nell’affanno di ascoltare se stessa, quasi un incontro che si rinnovava di luci e di ombre.
Tu non sai: ci sono betulle che di notte
levano le loro radici,
e tu non crederesti mai
che di notte gli alberi camminano
o diventano sogni.
Pensa che in un albero c’è un violino d’amore.
Pensa che un albero cade e ride.
Pensa che un albero sta in un crepaccio
e poi diventa vita. (Alda Merini)
“Che perdita di tempo ascoltare le loro “capatine” a Cortina o a Portofino, le dissertazioni sugli stivali più idonei per cavalcare e altre considerazioni sciocche. Studiare, me lo imponevo con responsabilità e tenacia. Presenza costante alle lezioni. Quaderni di appunti senza distrazioni e neppure i piccioni sul davanzale della finestra, che chiedevano cibo o briciole delle veneziane divorate di nascosto, mi commuovevano. Spesso accanto a me un ragazzo silenzioso, attento, con il sorriso nello sguardo e sentivo che i pensieri scambiavano domande e risposte, un filo diretto di emozioni. Quel giorno presi l’iniziativa “Andiamo in mensa insieme?” “Non posso, ho un impegno” Parole definitive. Dopo pochi giorni “Vieni a prendere un caffè?” “Mi dispiace ma ho un treno tra poco e devo correre in stazione” Era chiaro, non voleva un rapporto con me. Tentativi, i miei, che oggi fanno sorridere, ma allora potevano sembrare fuori luogo.
Al mio albero chiedevo “Perché?”
Fammi vivere nel momento.
Fammi sentire tutto quello che posso.
Fammi amare la vita per tutto ciò che vale
con tutto quello che sono. (Pat Fleming)
Lo vidi in una giornata afosa, l’aria sudava stanchezza e apatia, seduto su un sasso spartitraffico, un panino con lafrittata, le pantofole con cerniera, un libro sul grembo e allora osservai i calzoni incolori per le troppe lavature, la camicia bianca troppo abbondante, una tristezza a fior di pelle, nella solitudine e nell’abbandono di quel luogo. Capii l’emarginazione voluta per una povertà che ferisce. A me, pensai, non importa e rispettai il suo comportamento. Giorgio era comunque piantato nel mio cuore come una radice che vuole crescere, produrre rami di tenerezza. Mi disse, all’improvviso “Faresti con me e Franco le dispense per l’esame di Filosofia antica? Poi le facciamo approvare e le vendiamo” A dire la verità facevo fatica a capire il principio di identità e di non contraddizione, ma c’eralui e avevo diligentemente preso appunti minuziosi… accettai. E scoprii le sue capacità induttive e deduttive, la sua facilità di analisi e di sintesi, la conoscenza dei testi e la sua simpatia. Ero servita a ben poco, pensavo, ma ero pronta per l’esame: i filosofi greci non avevano segreti, così mi sembrava. Esami brillanti per il trio, per Giorgio con lode. Con il ricavato delle vendite delle dispense mi invitò a cena in mensa, mentre volavano palloncini gonfi di arte, di poesia e risate. Partì, dopo un abbraccio da amico. Dicevano fosse per frequentare, con una borsa di studio, la Sorbonne a Parigi. Mi dissi “Ma vale la pena di piangersi addosso?”
Tempi frenetici, venti disordinati ma affascinanti, fiori di inaspettate magie soffiavano negli anni 60. Sartre e l’esistenzialismo divenne un testo base di conoscenza, Kerouac l’autore indiscusso di una beat generation che dall’America approdava in Italia proponendo un fermento di protesta, il jazz, improvvisazione travolgente, ritmi sincopati e la nouvelle vague francese che sconvolgeva i canoni cinematografici di allora. Anticonformismo, Libertà, Disagio giovanile, Affermazione del proprio Io, i principi di una rivoluzione in atto vissuta ancora confusamente, recepita individualmente con visioni parziali, ma con una forza d’impatto coinvolgente.
“Si può conoscere e amare il jazz perché si conosce e si ama Kerouac? Per me è andata così. Bebop come tecnica compositiva? Sincopare la scrittura? Improvvisazione? Concetti astrusi inizialmente, ma era chiara la radice di conoscenza della musica afro-americana con la volontà di trasporre nelle sue opere suoni e tempi. Ma sì, ascoltiamo Parker e Gillespie nella cantina maleodorante di Ennio, declamiamo le poesie di Ginsberg, sogniamo il viaggio “Sulla strada”. Ennio era assiduo a Mondo Beat, una rivista ad hoc di giovani alternativi di varia provenienza sociale che pomposamente si definivano Beat. In realtà io ero un po’ un peso morto, l’atmosfera spesso dissertava solo di libertà sessuale e antimilitarismo, ma alla Cava sembravano più politicizzati e parlavano di sradicamento sociale contro la borghesia. Gli alternativi erano simpaticamente estrosi, a volte capelloni e aborrivano i cosiddetti ricchi. Mi stufai, Ennio fu sorpreso come un bambino a cui rubano le caramelle.
Con Paolo saltuariamente, andavo al Circolo San Fedele, dove i convegni a tema approfondivano un autore, quasi sempre un filosofo. Finalmente Sartre e il suo sguardo coraggioso per l’unicità di ogni essere umano nella sua imprevedibile e inspiegabile irripetibilità. Con Paolo un trasporto intellettuale che alla fine delle discussioni stesse finiva.
Non avevo più tempo per dialogare con il mio albero che assisteva ma forse non capiva una vita sempre in movimento. Quando mi avvicinò Jean Louis mi feci mille domande. Era alternativo, ma non troppo, ricco, ma non troppo, esibiva la sua Harley Davidson per arrivare in piazza Sant’Ambrogio da via Boccaccio, bello come può essere bello un ragazzo alla moda, una sigaretta Gitane gialla che faceva tanto bistrot parigino e due occhi sempre pieni di sonno. Studente corteggiato dalle fanciulle radical chic che lo adoravano, enigmatico e all’occorrenza sfacciato, mi invitò ad assistere in un cinema d’essai ai primi film arrivati della nouvelle vague. Perché no, dissi, anche a me interessano. Godard, Truffaut. Poi si parlava, si discuteva, si notavano le innovazioni registiche. Una delle ragazze deluse sentenziò “Non sei neppure bella, forse i capelli sono passabili…che ci fa con te Jean Louis?” Risi…perché con me? “Perché sei intelligente e voglio proporti un’avventura lavorativa”
Simona, dopo la laurea, era pronta a prendere in mano e costruire la sua vita, a riascoltare il fremito di un battere d’ali, ad ubriacarsi di colori e cantare, sì, cantare con le stelle amiche. Distribuire e vendere arte in una Galleria nata come sperimentazione, questo il nuovo lavoro. Proposi a me stessa
Prendi un sorriso,
Regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
Fallo volare là dove regna la notte..(Mahatma Gandhi)
“Mi sentivo più che altro una quadrivendola con l’avvicendarsi di artisti emergenti, ma c’era anche la sezione della Grafica d’arte dei Grandi: litografie, silografie, acqueforti…insomma i multipli firmati e numerati. Gli appassionati guardavano religiosamente, ma non compravano subito…la scena contemplava bellezza, tecnica e conoscenza. Quante cose dovevo imparare…anche con umiltà.
In un giorno ovattato di neve e di freddo, apparve Giorgio, un sorriso luminoso, senza parole. Mi abbracciò, ma non era un abbraccio da amico, ma un fremito di possesso. Chiusi la porta della Galleria e dissi “Andiamo”.
Siamo sposati da quasi cinquant’anni e siamo felici. In una bacheca, nel suo studio, ci sono come trofei, le pantofole con la cerniera ormai arrugginita. Chi entra si chiede il perché, ma è il nostro segreto.
Nene Ferrandi dal volume “i Racconti dell’anima”

Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano