In tal senso, l’AI Act dell’Unione Europea, quale cornice normativa di riferimento, sottolinea l’importanza di una consapevolezza diffusa tra tutti i soggetti coinvolti nello sviluppo e nell’impiego dell’intelligenza artificiale. Questo principio implica un’alfabetizzazione estesa, che non si limita agli esperti, ma si articola a tutti i livelli organizzativi e si riflette, più ampiamente, sull’intera società.
I contenuti formativi dovrebbero differenziarsi in base ai destinatari, distinguendo chiaramente tra i fornitori di AI—coloro che sviluppano, progettano e implementano i sistemi—e gli utilizzatori finali, che li integrano nelle attività quotidiane. La distinzione è essenziale per individuare i diversi livelli di responsabilità e delineare le azioni necessarie per una governance efficace e sicura dell’AI. Ma quali sono le conseguenze nell’ipotesi di mancata formazione in materia di AI ?
A mio parere vi sarebbero due effetti negativi: da un lato, l’esposizione a rischi sistemici, legati all’adozione acritica di strumenti automatizzati; dall’altro, il divario di potere informativo tra chi possiede le competenze e chi ne è privo. Un’ ulteriore mia riflessione è che l’ asimmetria cognitiva mina l’utilizzo consapevole dell’AI, impedendo di esercitare scelte autonome e responsabili nell’interazione con tecnologie che influenzano ormai ogni ambito della vita sociale, lavorativa e giuridica.
In qualità di avvocato impegnato sul tema, non posso che sottolineare come l’assenza di una formazione diffusa e multidisciplinare rischi di trasformare le garanzie normative in meri enunciati di principio, privi di effettività. La norma, infatti, non tutela ciò che non viene compreso: una società giuridicamente protetta è, prima ancora, una società informata.
L’alfabetizzazione sull’AI non deve essere intesa esclusivamente come un adempimento normativo, bensì come un diritto culturale e una scelta strategica. Essa rappresenta una leva fondamentale per favorire l’inclusione e l’equità all’interno del panorama digitale. In questo contesto, il ruolo dell’AI Literacy è duplice: per un verso promuove una comprensione critica e informata delle tecnologie emergenti; per altro verso, prepara gli individui a identificare e gestire i rischi derivanti da un utilizzo scorretto o inconsapevole dell’intelligenza artificiale. Per contro il mancato investimento in alfabetizzazione AI espone alla cristallizzazione di nuove forme di esclusione lavorativa e sociale, non più legate al reddito o alla geografia, ma alla capacità di comprendere e controllare gli strumenti digitali. In quest’ottica, l’educazione all’AI diventa prima di tutto uno strumento di giustizia.
In conclusione, l’alfabetizzazione sull’AI deve essere concepita come un investimento nel futuro, più che come un vincolo normativo. È un invito a diventare soggetti attivi e consapevoli del cambiamento, contribuendo alla costruzione di un ecosistema digitale equo, trasparente e centrato sulla persona, oltre che leva professionale trasversale che ridefinisce le competenze lavorative.
Avv. Simona Maruccio

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.