Minà inesplosa

Cultura e spettacolo RomaPost

Il passato non è mai morto in Italia, terra di passatismo. Dobbiamo abituarci ad un continuo sequel di giganti del passato che crollano e se ne vanno; giganti sulle cui spalle sghignazzano, quasi non visti, i presenti noti ed arcinoti senza neanche riuscire a farsi notare. Perché dei loro tic, delle loro parole, delle loro battute erano padroni questi giganti cui ora a livella chiede conto e che richiama alla nuda terra. Dopo Costanzo tocca a Minà. Costanzo tenne le mani in pasta fino all’ultimo minuto, nelle grandi come nelle torte medie e piccolissime. Minà invece era sparito da tempo, forse dal monumento commemorativo datogli dai tedeschi nel 2007, sicuramente almeno dalla scomparsa del presidente cubano Fidel Castro. Gli aveva fatto l’ultima intervista da 40 minuti, che si era dovuto produrre da solo. Era rimasto infatti l’ultimo e l’unico a credergli, al Lider Maximo, sempre come nella prima intervista, quella da 16 ore. Il Manifesto, un altro gigante zombie che perse la sua ragione di esistere praticamente appena nato ma che continua ad esistere senza senso e sensi, invece credeva sempre a Minà, che aveva raccolto solo vent’anni alla fine praticamente di una carriera infinita incominciata 40 anni prima alle Olimpiadi romane del ’60. Seguirono 8 mondiali di calcio, 7 olimpiadi, decine di campionati mondiali di boxe.

Il comandante Minà rideva sempre protendeva una dentatura da cento denti di sorriso con tutti e tra tutti quei denti attendeva le parole e gli aneddoti dell’intervistato. Gli occhi, però, piccoli, guardavano di traverso, con spirito opposto al sorriso. Aveva amici pericolosi lui. Chavezista, castrista, guevarista, zapatista, chiapista, lulista, desaparecidosista, venne premiato più volte per le posizioni insurrezionali che poi erano quelle del coro. Aveva cominciato con lo sport (Sprint, Domenica Sportiva Zona Cesarini, Un mondo nel pallone, direzione di Tuttosport,) ma poi aveva scalato news e rotocalco (Tv7, AZ, un fatto come e perché, Servizi speciali, Dribbling, Odeon. Tutto quanto fa spettacolo, Gulliver, Alta classe, Ieri, oggi… domani? Te voglio bene assaje). Il monumento la Rai gliel’aveva confezionato nel 2008 rieditando il programma Blitz di soli 25 anni prima. Non si spiega  l’effetto Minà se non lo si inserisce nello strano ircocervo Rai, presidio di cultura mummificata. Senza una Rai, un Minà non sarebbe mai stato possibile. Metteva a sedere in circolo i vip, i creatori del sistema, senza che avessero nulla da dire. Sbadigliavano, bevevano, scherzavano, facevano battutacce, ogni tanto tiravano fuori pensosità. Intanto Minà si pasceva di mostrare che stava lì con i grandi della terra a cazzeggiare. E sparare bordate sullo stesso mondo dei vip seduti.

Eravamo io, Gianni Morandi, Barendson e Arbore. Eravamo io, Barbato, Chavez e Lula; no, io, Lula, Marquez e Amado. Io, monsignor Ruiz e il Che; no, io e Galeano, con Menchù la Rigoberta, Betto, Pombo, Urbano, tutti i compagni sopravvissuti a Guevara in Bolivia. Io, Gianni e Pinotto. Io, Fellini, la Masina e Leone. Io, Ferrari, De Andrè, e la Fonda. Io, Gaber, Ferrè e l’angelo negro; io, De Filippo, la Marchini e Vaime; io, la Faria, Schipa Jre l’abate Faria. Io, Dalla, Venditti, Monzón, Evanse Moses; io, Zucchero, Rocco, Benvenuti e Platini. Io, De Niro, Mennea, Smith ed i cubani scelti Retamare la Alonso. Io, Baggio, Tomba, Ingrao e Pantani. Io, Scorsese, John John Kennedy, Franco e Ciccio. Io, la Naomi Campbell, Charles, Pino Daniele, Troisi e Pertini. Io, Minoli, Buarque de Hollanda, Caponnetto e Troisi. Io, Redford, il subcomandante Marcos, Montalbán, la Baraldini, i Maya del Chiapas. Io, il Dalai Lama, Sepúlveda e Papa Francesco; io, Muhammad Ali e Cassius Clay. Io, Diego e Maradona.

Minà si teneva fissi a casa, in due camerette, il mio Alì ed il mio Diego per ogni bisogna. Dagli incontri-saremo famosi- si sviluppa il mito del partigiano 5nne, del reporter di centinaia di reportage e decine di programmi Rai, soprattutto delle migliaia di pezzi sull’America latina. Scriveva di mafia e America Latina, di jazz e America Latina, di Porto Alegre e America Latina, di comunismo e America Latina, di canzonette e America Latina, di vip e America Latina, musica e America Latina, motociclette in America Latina, facce piene di pugni e America Latina, bisonti e America Latina, show-business e America Latina, minoranze e America Latina. Direttore del coro per 60 anni sui maggiori media, Minà dietro il sorriso innocuo ha ben demolito il mondo che lo ha elevato, finché ha potuto, lasciando un po’ solo alla deriva nell’ultimo decennio. Dei suoi scritti restano mine inesplose e disinnescate. Sarà per questo che ha mancato il meglio dell’America Latina degli ultimi tempi, Belen.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.