Suor Anna Monia Alfieri: lettera-appello agli studenti che sono scesi in piazza

Attualità

La scuola deve tornare ad essere quello che è stata sempre, soprattutto negli anni del dopoguerra, ossia un vero ascensore sociale che ha permesso al figlio dell’operaio o dell’agricoltore di poter raggiungere titoli di studio importanti

Carissimi giovani,

ho pensato di scrivervi anzitutto per ringraziarvi del vostro rinnovato interesse verso la scuola, per la quale non avete esitato ad affrontare la pioggia e a scendere in piazza venerdì 18/11/2022. Manifestare le proprie idee è un diritto, ancor più un dovere, per rendere la nostra società più giusta e più equa. Le più alte forme della democrazia, tra le quali spicca la nostra, favoriscono queste manifestazioni composte, propositive, da salutare dunque con favore e da custodire. Vent’anni fa ho scelto di scendere in campo per voi, sfidando ogni lettura ideologica della scuola, perché convinta che essa sia l’unica chance per il Paese: solo una scuola libera e di qualità può formare cittadini che pensano, ragionano e si riscoprono, così, protagonisti di un nuovo welfare che vede lo Stato non più gestore unico ma garante di un diritto. Vedete, la libertà non è conquistata per sempre, domanda capacità di approfondire perché, mentre affermiamo dei principi, rischiamo di tradirli.

Mi sono domandata, allora, quale sia la vostra reale conoscenza del sistema scolastico italiano: alcuni vostri slogan, che rivendicavano pari opportunità, denunciavano, in realtà, un sistema scolastico che non dà a tutti le medesime opportunità e vi siete opposti al concetto di merito.
Permettetemi, allora, di dirvi, con quella franchezza che è indice di fiducia nell’intelligenza dell’interlocutore, che si tratta di una confusione che sciupa il vostro impegno e di un’occasione persa per la politica e per la società che poteva imparare da voi. Oggi avete avuto la piazza, le telecamere, quindi occasioni uniche che non possono essere sciupate. Quando mi capita, considero un dono grande la possibilità di parlare in trasmissioni televisive che mi consentono di raggiungere l’opinione pubblica e percepisco una responsabilità tale che mi preparo moltissimo nel timore di tradire la fiducia e di sciupare un’occasione per mettermi al servizio della Res-Publica. Noi abbiamo in comune la pragmaticità, ossia la sincera volontà di risolvere i problemi, non di trincerarci dietro questi per interessi terzi.

Quando penso a voi, il mio pensiero va innanzitutto alla scuola e al mondo del lavoro, meglio penso ad una scuola che sia in grado di prepararvi al mondo del lavoro. Mi piace immaginare una scuola che dia agli studenti le conoscenze e le competenze necessarie, non solo in termini meramente “produttivi” ma anche, e forse soprattutto, in termini di competenze di umanità. Un giovane al termine del proprio percorso di studi, sia che esso comprenda o non comprenda un percorso universitario, dovrebbe avere acquisito quelle competenze indispensabili ad affrontare il mondo del lavoro: equilibrio, capacità di adattamento e di costruzione di relazioni sane, resilienza e, mi sia consentito di aggiungere, di umiltà e voglia di darsi da fare. Il lavoro, lo sappiamo, non deve diventare ragione di vita di una persona, assolutamente no, ma occasione di realizzazione personale, in un’ottica di condivisione e di corresponsabilità, assolutamente sì.

Pertanto, in una situazione come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una guerra combattuta nel cuore della nostra Europa tra un Paese invasore e un Paese invaso e da una conseguente crisi economica legata al caro energetico, la scuola deve finalmente tornare ad essere quello che è stata sempre, soprattutto negli anni del dopoguerra, ossia un vero ascensore sociale che ha permesso al figlio dell’operaio o dell’agricoltore di poter raggiungere titoli di studio importanti. Se l’Italia è diventata uno dei paesi più industrializzati, merito non è stato solo degli aiuti che arrivavano dagli Stati Uniti ma anche di una politica che ha creato le condizioni perché tutti i bambini e i ragazzi potessero andare a scuola e i più meritevoli proseguire fino alla laurea. Ecco, perché, desidero porre alle vostra attenzione alcune riflessioni che spero possano aiutarvi a fare un’idea più chiara del mondo per il quale avete manifestato.

Il valore del merito: occorre chiarirne l’importanza, a tutti i livelli di una società veramente democratica. Molto spesso si pensa che le parole merito e inclusione siano l’una l’opposto dell’altra. Si fraintende, infatti, il significato dell’aggettivo inclusivo. Riconoscere il merito non vuol dire abbandonare i fragili, tutt’altro! Il bambino con certificazione di DSA o H ha tutto il diritto di essere premiato per merito, se raggiunge con l’impegno suo e di chi è chiamato alla sua formazione, gli obiettivi che può e deve raggiungere. Invece, in nome di un concetto errato di inclusione, la scuola ha abbassato i livelli delle richieste, omologandole verso il basso, invece di dare al singolo studente ciò di cui ha bisogno, compresa la soddisfazione di migliorare. Don Milani, del resto, diceva che compito dell’insegnante è quello di fare parti uguali tra disuguali. Non vorrei fare un’inutile dietrologia ma, forse, l’introduzione della scuola media unica, per come è stata interpretata (il “pezzo di carta per tutti”) ha innescato questa tendenza al ribasso nella scuola italiana.

Avete chiesto una scuola di qualità per tutti. Pienamente d’accordo! Ma, allora, dobbiamo chiedere l’unica riforma assolutamente necessaria e possibile. I governi del passato hanno creato le condizioni perché tutti potessero accedere all’istruzione, certamente, ma non hanno creato le condizioni perché l’istruzione fosse libera, ossia il genitore potesse scegliere la buona scuola pubblica – paritaria o statale – per il proprio figlio. Le scelte fatte nel mondo della scuola hanno fatto sì che i genitori italiani fossero indirizzati alla sola scuola pubblica statale: chi voleva altro,
doveva e deve pagare. Certo molto è stato fatto, negli ultimi vent’anni, per scardinare il feudo dell’ideologia, per far comprendere il valore della libertà di scelta educativa sancito dalla Costituzione, ma il cammino prevede ancora l’ultima tappa, ossia realizzare l’effettivo funzionamento, secondo la L. 62/2000, del sistema pubblico dell’istruzione, formato dalla scuola pubblica statale e dalla scuola pubblica paritaria, sotto lo sguardo garante dello Stato.

Quest’ultimo, ad oggi, ha sempre ritenuto la scuola come cosa “propria”, strumento inteso a formare i figli come a lui appartenenti e quindi dallo Stato stesso formati. In realtà – secondo la Costituzione Italiana e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – i figli sono dei genitori e l’educazione è una loro prerogativa inalienabile. Lo statalismo imperante nella scuola è funzionale all’ideologia (di qualunque colore), perché la possibilità che le famiglie educhino i propri figli secondo i propri principi, sempre nell’alveo di un servizio pubblico, cioè per tutti, è cosa altamente pericolosa, perché crea gente pensante. Formare le menti è qualcosa di prezioso per chi intende manipolarle.

Chiedete per voi e i vostri figli la libertà! La libertà di scelta educativa è sempre stata osteggiata dalla burocrazia e dai sindacati. Questi ultimi hanno visto nella scuola pubblica statale il “postificio” a garanzia dei propri tesserati e del proprio peso politico basato sui numeri. E parliamo di posti di lavoro, in realtà, inesistenti: basti pensare che in Italia abbiamo 150.000 cattedre precarie, ovvero un esubero di docenti rispetto alle cattedre disponibili. La burocrazia ideologizzata, da parte sua, ha fatto credere alle famiglie che un allievo nella scuola statale non costasse nulla… Menzogna evidente, perché è stato dimostrato, dati del Ministero dell’Istruzione alla mano, con un lavoro fatto insieme alla ministra Giannini prima e con la ministra Fedeli dopo, che lo Stato sostiene un costo di circa 10.000 annui euro ad alunno. La narrazione diffusa, invece, e generata dall’ignoranza, è che la scuola pubblica paritaria sia la scuola dei ricchi che toglie soldi alla scuola pubblica statale. È stato dimostrato il contrario: la scuola paritaria riceve dai cittadini solamente 500 euro per alunno, rappresentando una potente fonte di risparmio per lo Stato, nell’ordine di 7 miliardi di euro annui.

Un’ultima considerazione. Autonomia scolastica e libertà di scelta educativa: le due grandi leggi incompiute. Entrambe non trovano attuazione a distanza di più di vent’anni: la scuola statale non è dotata degli strumenti per una reale autonomia, la scuola paritaria non è libera, perché deve
chiedere una retta a chi la vuole frequentare. Non è un caso che queste due leggi stiano vivendo la stessa triste vicenda: la scuola pubblica statale veramente autonoma e la scuola pubblica paritaria veramente libera fanno paura a chi teme il pensiero libero, a chi vuole tenere la scuola e, di
conseguenza, i cittadini sotto la morsa della burocrazia, del tesseramento sindacale o dell’appoggio politico. L’autonomia scolastica passa necessariamente da qui, passa attraverso un ruolo, guarda caso, sempre più autonomo delle regioni con il controllo dello Stato a garanzia che le
famiglie ricevano tale somma. Attenzione: se così non dovesse avvenire, a farne le spese non saranno i ricchi ma saranno i poveri, i più fragili, i ceti potenzialmente e pericolosamente più esposti alla criminalità organizzata nelle sue diverse forme.

Carissimi, o si fa l’Italia o si muore, per dirla con Garibaldi. Complice la guerra in Ucraina con tutte le conseguenze economiche da essa derivate, i costi di gestione sono aumentati esponenzialmente. Dunque è giunto il momento di dire che o il costo medio studente – ricordo che tale costo è indicato ogni anno con apposita circolare del Ministero (da euro 6.873,99 per la scuola dell’Infanzia a euro 8.736.15 per la scuola secondaria di II grado) – è garantito alle famiglie italiane attraverso il costo standard, ossia una quota capitaria da erogare direttamente alle famiglie che
sceglieranno di spendere presso la scuola che soddisfa i propri criteri educativi, oppure lo scenario della scuola italiana sarà il seguente:

1) scuola pubblica statale in affanno perché dovrà accogliere gli studenti e i docenti delle scuole paritarie chiuse;
2) scuole pubbliche paritarie, una percentuale minima, che potrà sopravvivere solo applicando rette pari al costo medio studente, in questo
modo diventando inevitabilmente classista.

La realtà attuale, del resto, è la prova, se mai ancora ce ne fosse il bisogno, della veridicità di quanto vi scrivo e ripeto da anni: nelle Regioni in cui,
attraverso varie forme, sono state introdotte misure di sostegno per le famiglie, il pluralismo educativo ancora resiste; dove, invece, tali politiche non vengono attuate il pluralismo educativo è praticamente scomparso. Il Set Informativo che presso il Ministero è stato predisposto grazie alla
volontà del Ministro Bianchi è molto esaustivo. Il Pluralismo educativo nel Centro Nord è del 37%, mentre nel Sud ormai è solo del 4%. Nella legge di Bilancio chiedete il pluralismo educativo, una scuola statale autonoma e una scuola paritaria libera.

Vi chiedo di verificare con i dati che tutti abbiamo a disposizione quello che vi ho scritto. Consentitemelo: so di non sbagliare. Fidatevi solo di chi vi chiede di indagare e approfondire quello che vi viene detto. Io lo sto facendo. Mi auguro che ascoltiate questo mio appello e abbiate il coraggio di riconoscere la verità di quanto affermo. Mi permetto di concludere con una frase di Qualcuno, pronunciata nel momento più drammatico della sua vita: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. La verità, in qualsiasi campo, libera il cuore e la mente da preconcetti e pregiudizi, apre al cambiamento e al rinnovamento. E la società aspetta da voi il rinnovamento che non può arrivare se ci si fonda non sull’idea che libera ma sull’ideologia che opprime. A voi la scelta tra dedicare la vostra vita all’idea o all’ideologia. Vi abbraccio.

Suor Anna Monia Alfieri (Il Giornale)

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