Malgrado siano passati solo due mesi, è finito nel dimenticatoio il voto delle amministrative di giugno che segnò una sconfitta chiara per il centrodestra. Dopo un così breve tempo, invece, sembra che a settembre il centrodx vada verso un trionfale successo, un nuovo 2001, vendetta del 2011. Cosa spiega una tale inversione a U dell’animo degli elettori? Bisogna ricordare che a giugno la maggioranza, 13 a 10, delle amministrazioni dei capoluoghi restò a destra, calando dalla precedente differenza di 17 a 5. Comunque l’immagine di una destra, che perdeva, pur nella prevalenza al Nord, Verona, Lodi, Alessandria e Piacenza, nonché Catanzaro (ma vincendo a Lucca e Palermo), la metteva nell’angolo, nel quadro di sole 48 vittorie sui 142 Comuni con oltre 15mila abitanti. Nell’analisi di Diamanti la sconfitta andava ascritta all’astensionismo, soprattutto nei ballottaggi, alla competizione fra Lega e Fratelli, all’impasse sul fronte delle liste civiche e dei partitini dei sindaci locali.
A giugno aveva trionfato il campo largo, sorta di riedizione dell’Ulivo, matrimonio tra il Pd ed i M5S, vale a dire, tra due formazioni che si erano odiate, e che, con viatico di Grillo, avevano cominciato a governare assieme nell’ultimo triennio. Al contrario la classica unità del centrodx era venuta meno, proprio dove la sua egemonia popolare era di tutta evidenza, come nel caso emblematico di Verona, finendo poi per perdere per eccessiva litigiosità. Le due formazioni minori della coalizione di destra, giunte improvvisamente negli ultimi anni alla leadership hanno dimostrato isterismi nervosi nella competizione interna. In secondo luogo, è risultata più debole a destra la caratteristica delle amministrative degli ultimi anni, la gestione delle Liste civiche, liste personali di leader in relazione, grazie a media e digitale, con i cittadini ma senza un profilo fuori dal contesto locale. Realtà dovute alla fine dei meccanismi di partecipazione locale organizzati un tempo dai partiti; realtà che attestano l’esistenza parallela di una partitica nazionale e di una partitica locale, forte soprattutto, e frammentata, nelle tanti capitali e mille paesi della provincia, diversa e molteplice, lontana dalle poche grandi città. Personalizzazione partitica a livello globale e locale. A destra riesce la prima, non la seconda. Come dimostra la storia di Storace, Alemanno, Tosi e Musumeci rispetto a quella dei Rutelli, Veltroni, Renzi. Nelle elezioni politiche ora però la sinistra non può ricorrere alle scorciatoie delle liste civiche delle realtà locali
Il fatto più grave per la sinistra è la disunità. Il campo largo si è sciolto via via che il Pd, dopo aver lusingato i 5S, ha preteso di volerli trasformare contro natura in una formazione di sostegno del sistema globale, ed a titolo provocatorio, dei termovalorizzatori. Poco alla volta, una volta garantite le prebende per l’anzianità dei tanti parlamentari grillini destinati a tornare quidam qualunque, i pentastellati hanno dimostrato insofferenze crescenti al governo Draghi, creando numerosi gruppuscoli e minacciando l’esistenza stessa del partito grillino, diviso tra Conte, Di Maio, Di Battista, Alternativa e l’ex padre padrone Grillo, finendo per soffrire una doppia se non tripla scissione. Alle amministrative si era già consumato lo scontro tra segretario e ministro degli esteri, pur senza conseguenze, dato il ruolo di ruota di scorta dei 5S. Il campo largo si è poi indebolito, pur se per poco, anche nella frazione liberal del Pd, perdendo Calenda e Renzi che mai avranno il coraggio di stare a destra dove li chiama la loro natura politica.
Ora il leader pisano Pd, come riferisce Giubileo, candidamente ammette che non teme la vittoria del centrodx. No, di più; è terrorizzato dal suo possibile exploit a più del 66% dei seggi, così da procedere alla modifica della Costituzione; quindi alla svolta presidenziale attesa dall’8° legislatura. Quindi, il centrosinistra è certo di perdere e quindi sua intenzione è soltanto quella di contenere la sconfitta. Si coglie la differenza con la destra delle amministrative che pur rendendosi conto in corsa della debolezza di alcuni suoi candidati, non ha mai mollato la presa. L’atteggiamento del Pd induce alla fuga istintiva dal carro del perdente.
Non si capisce la fissazione sull’agenda Draghi del Pd, che sulla carta sarebbe la rappresentanza della sinistra. O meglio la si indovina. Tra il 2010 ed il 2011, la sinistra giocò una lunga serie di carte false, dalla scissione indotta al giustizialismo ad personam alla ipercontestazione di piazza, dallo spread alla guerra internazionali, per passare da un governo votato dagli elettori ad un governo tecnico ipereuropeista. Dopo undici anni c’è ancora un altro governo tecnico ipereuropeista, uscito dopo un risultato elettorale che a valanga si era pronunciato per la dissacrazione totale del sistema. In mezzo una serie di governi Pd giocati su altre scissioni della destra e sulla perdita d’anima interna del fu partito della sinistra. La fissazione sull’agenda Draghi, cioè sul ruolo di un grandissimo banchiere, dimostra la perdita di cognizione propria da parte di un partito che ha bisogno di un fornitore di idee, programmi e mission.
Il corpo elettorale cambia poco anche nelle inversioni a U; ogni giro aumenta la quota d’astensione indotta da un trasformismo ormai insopportabile. Questa volta l’indignazione e la spinta antisistema, con lo scarso sbocco dei 5S, andrà a carico della destra che ora è molto destra e poco centro, senza le anime politiche socialista e liberale giunte alla fine nel loro percorso dall’antico pentapartito. L’unità delle coalizioni è dirimente; la disunità fece perdere la destra alle amministrative e farà perdere la sinistra alle politiche. L’uso della clava antifascista e della scure giustizialista saranno impiegate ma senza esito. Troppo sono state usate. La prima è crepata e la seconda smussata. Se la destracentro saprà muoversi tra le oggettive difficoltà, approfittando del rinnovato clima da guerra fredda, il suo destino è coprire definitivamente anche il campo di sinistra, sostituendosi al Pd, che nella sua mission è uno zombie, un cadavere che cammina. Allora come vuole natura, la destracentro si scinderà in destra e sinistra. Finalmente naturali.
Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.