Sarà forse una manifestazione di rabbia, oggi. Lavoratori di nome, ma, nei fatti, l’incertezza per il futuro. Il lavoro sancito anche dalla Costituzione, è il bene primario per la dignità dell’uomo e della sua autonomia. Una rabbia che viene da lontano, da due anni di pandemia, dagli odierni riflessi della guerra sull’economia, sull’impotenza dei nuovi poveri, sui quotidiani problemi degli anziani.
Già, ma gli anziani pensionati con la minima, i nuovi poveri e chi è sempre stato indigente, non va a manifestare.
Eppure dovrebbe essere una festa per tutti, il diritto al lavoro acquisito e generalizzato, la disuguaglianza sociale inesistente.
E invece i sindacati urleranno principi disattesi, qualcuno protesterà ad alta voce, le istituzioni sposeranno retorica e promesse, gli antagonisti nullafacenti ricorreranno agli slogan contro il sistema.
La piazza sarà piena, come sempre il primo maggio, gente eterogenea che vuole lavorare, ora che anche le regole anti Covid si sono allentate, ma chi è sopravvissuto alle restrizioni, mantenendo il lavoro, forse non ci sarà per la precarietà del lavoro stesso.
I clochard che hanno perso lavoro e casa, non hanno voce.

Soggettista e sceneggiatrice di fumetti, editore negli anni settanta, autore di libri, racconti e fiabe, fondatore di Associazione onlus per anziani, da dieci anni caporedattore di Milano Post. Interessi: politica, cultura, Arte, Vecchia Milano