Il bimbo, bene scarso, difeso bipartisan

Economia e Politica

L’aborto legale, con la legge 194, significò la fine della condanna aprioristica per la donna che esibiva, col grembo pieno, il segno della colpa. La colpa, di fronte alle famiglie ed alla comunità, di non essere riuscita a mantenersi il padre accanto. Poi significò l’esplosione della libertà sessuale per le donne con grande conseguenze anche per gli uomini, entrambi alleggeriti da responsabilità e doveri, con ampie ricadute sulla mentalità ed i comportamenti che finalmente potevano farsi leggeri, disinvolti, financo superficiali. E fu subito, dall’inizio, dal ’78, un grande successo, 230mila aborti l’anno, segno che la domanda era alta ed attendeva l’offerta legislativa. Il grafico dell’evoluzione del fenomeno è però impietoso. Nel ’90 gli aborti erano 160mila. Nel 2000, 130mila; nel 2014, 100mila fino agli ultimi dati che segnano in meno di 60mila gli aborti effettuati delle italiane (-74,7% rispetto all’82), a fronte di 400mila nascite. Forse le coppie sono più attente e capaci di regolare il numero della prole, ma è più probabile che si siano anche fatte più tiepide, se non fredde stecchite
le lenzuola. In una società dominati da lavoro e carriera, oppure da stress di sussistenza, per entrambi i sessi, la scelta della famiglia, ed eventualmente della maternità e paternità è cosa susseguente agli altri obiettivi raggiunti. Come si è detto, matrimonio e prole sono un risultato di successo a valle di avere scalato le proprie vette; affrontati come un tempo da incoscienti naturali solo dal lumpen proletariat. L’istinto da formiche della specie, di fronte ai grandi numeri della vita esistente ed allungata nell’anzianità raffredda la necessità di
rimpinguare le fila tanto che metà delle donne che abortiscono, non hanno figli. Anche gli stranieri, come è noto, hanno abbassato sotto zero la loro prolificità e ricorrono all’aborto su 70mila nati, ben 27.500 volte aborti di bimbi stranieri, a nascere sono stati soltanto in 70mila, una volta su quattro. Il tema, come evidente, non è così dirompente nei numeri; spesso nel dibattito viene tenuto in vita da un gran numero di reduci, e reducesse, della politica che a suo tempo ci costruirono le proprie fortune. Non c’è però da meravigliarsi se, in modo bipartisan, cresce la sensibilità per l’aborto, interpretato come problema. Non si tratta di difendere o meno i principi della vita o della libertà sessuale, che comunque non dovrebbe essere solo quella femminile. Il tema oggi è un altro, la scarsità delle nascite, che rende ogni nuova vita preziosa in quanto bene scarso per una società ricca e vecchia. Le donne hanno la libertà dei propri comportamenti, auspicando che trattino meno i figli come strumento di ricatto nell’ascesa o mantenimento lungo la scala sociale. Quando però le nascite saranno ancor meno delle odierne, seguendo la tendenza già chiara oggi, sarà interesse di tutti sostenere le nuove vite, anche nel caso
che le madri naturali non se ne vogliano occupare. Questa attenzione per i possibili nuovi nati non ha le caratteristiche della lotta antiabortista che voleva difendere la famiglia tradizionale. Questa ormai non c’è più; è un lusso per i più abbienti mentre ai più sono destinati percorsi di single più o meno accompagnati. E’ dunque un’attenzione bipartisan, che non dovrebbe destare polemiche e che non tocca il diritto della legge 194. Se invece le donne hanno mal interpretato l’aborto, come possesso esclusivo della prole, da tenere viva o
meno, e di cui fare uso come usbergo di fronte agli uomini, nel calo del senso di maternità, ovvia conseguenza della convergenza dei gender, deve essere chiaro che la legge 194 non dice questo. La prole non è di nessuno; è la futura umanità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.