Sorpresa: a Panama c’è anche Banca Etruria

Esteri

Milano 6 Aprile – Panama Papers, giorno secondo. L’ingente mole di files «sfuggita» dallo studio panamense Mossack Fonseca, crocevia di società off-shore, anche ieri ha tenuto banco nella cronaca internazionale.

Una vicenda che, qui da noi, arriva a lambire l’argine dell’Arno, e la porta di Palazzo Chigi. Almeno secondo la ricostruzione fatta dal Capogruppo toscano di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli, il quale ha spiegato che «due società con sede a Panama, la Torrado Holdings e la Tressel Overseas hanno quote di capitale della Egnazia Shopping Mall, società nata per la realizzazione dell’outlet di Fasano, in cui l’amministratore unico è ancora oggi Lorenzo Rosi», cioè l’ultimo presidente di Banca Etruria.

Per Egnazia, illustra Donzelli, «ha svolto un ruolo da consulente lo stesso papà del premier, Tiziano Rosi». Il Consigliere Fdi fa notare che «le società con sede a Panama fanno riferimento ad alcuni studi, fra i quali Mossack Fonseca, ma anche ad altri come Arifa, la cui sede sembra coincidere con quella di Torrado Holdings e Tressel Overseas».

Al di là di questo nuovo capitolo che si potrebbe aprire, ieri è stata la giornata delle reazioni delle personalità coinvolte dal dossierone. Alcune fonti vicine a Luca Cordero di Montezemolo hanno affermato che «né lui, né la sua famiglia, possiedono alcuna società offshore». L’ex pilota di F1 Jarno Trulli ha spiegato a Sky Tg 24 che la società citata nella vicenda, la Baker Street, è «assolutamente dichiarata. Io sono cittadino italiano, residente all’estero da 18 anni, certificato perché ho già subito un accertamento italiano. Ho dichiarato questa società con cui faccio sviluppo immobiliare e nient’altro».

Sul piano internazionale, energica smentita arriva dal portavoce di Putin (tirato dentro per alcune persone a lui vicine che compaiono nei files), Dmitri Peskov, che ha derubricato lo scoop ad una montatura. O meglio, una ostile manovra mediatica che punterebbe proprio sul numero uno del Cremlino, per via dei «successi dell’esercito russo in Siria e alla liberazione di Pamira passate sotto silenzio dai media occidentali». Secondo Peskov, inoltre, dietro l’ICIJ, l’associazione internazionale di giornalisti che hanno pubblicato gli scoop nei rispettivi Paesi, ci sarebbero «molti ex rappresentanti del dipartimento di Stato, Cia e altri servizi speciali».

Da Mosca a Londra. Dove la vicenda ha provocato un certo imbarazzo a Downing Street, per via del coinvolgimento di Ian Cameron, morto nel 2010 e padre del premier David. Una portavoce di quest’ultimo parla solo di «questione privata». Nella fredda Islanda, il premier Gunnlaugsson, sta provando a resistere al terremoto politico che la comparsa nei files gli sta causando. E, al di fuori della politica, il campione di calcio Leo Messi, attraverso un comunicato, ha fatto sapere che la società che compare nel dossier «esiste ma è inattiva e non ha mai avuto fondi e conti». Intanto, nei Paesi coinvolti si muovono le autorità competenti per accertare eventuali responsabilità. In Italia, dall’Agenzia delle Entrate trapela che sarebbero già stati mossi i primi passi per ottenere rapidamente la documentazione in modo da avviare le indagini del caso, indagini peraltro già annunciate per riciclaggio da vari Paesi come Francia, Austria, Spagna e Olanda.

Pietro De Leo (Il Tempo)

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