La rivalutazione degli anni Ottanta: dai “maledetti Ottanta” ai “favolosi Ottanta”

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Milano 12 Marzo – Verso il Duemila andavo alle elementari e in settimana bianca con la mia famiglia per le vacanze di Natale. Durante una di queste impegnative traversate sulla Modena – Brennero, con la macchina carica e il ghiaccio per terra, mia sorella adolescente aveva insistito per comprare all’Autogrill una cassetta di successi commerciali Anni ’80. Da lì, il viaggio era stato animato da suoni che recepivo come spaziali, rumori elettronici e voci in falsetto accompagnati dall’allegria generale dei presenti. Un’allegria che però era di sfottò, di presa in giro: mosse di ballo esagerate e macchiettistiche, battute sulla bruttezza della produzione musicale del periodo. Si era quasi nel nuovo millennio e si rideva del pericolo scampato, del riflesso sbiadito di un mondo lontano ormai anni luce.

Più avanti ho avuto modo di constatare come questo sentimento fosse in realtà diffusissimo. Nell’immaginario comune si sono cementificate pian piano delle vicine “epoche-mito”, divise per decenni: l’epoca della ricostruzione e del “poveri ma belli”, quella del boom economico e dell’“Italia migliore di sempre”, quella dei valori e partecipazione politica del “vogliamo tutto”. Nonostante i grandi problemi che ogni decennio ha effettivamente conosciuto, ognuno di essi viene canonizzato, diventando così per i posteri il simbolo nostalgico di un bel mondo antico di cui nella caotica contemporaneità si è annacquato lo spirito.
Non è accaduto agli anni Ottanta. Certo, l’implacabile tendenza al revival che ogni vent’anni circa fa tornare di tendenza mode e comportamenti della generazione precedente ha “sdoganato” questo decennio: feste a tema, capi d’abbigliamento, musiche, ambientazioni di film. Insomma, quello che ad esempio negli anni Settanta è successo ai Cinquanta con “Grease” o “Happy Days” è successo anche in questi ultimi anni con gli Ottanta. Con una particolarità però rispetto agli altri: ammessi sì, ma con riserva. Cioè senza la stima di massa che viene riservata agli altri periodi; piuttosto, con l’atteggiamento benevolo di chi vuole prendere le distanze che avevano i miei genitori in macchina.

Ma se gli Ottanta sono finora stati dipinti a tinte fosche o, allo stesso tempo, a tinte fluorescenti e luccicanti, adesso i colori sono più neutri. Qualcosa sta lentamente cambiando. Non sono (solo) più per l’immaginario collettivo gli anni del declino, dell’edonismo, del kitsch, dell’assenza di limite, del vuoto di valori morali. Non sono più l’inizio della fine, ma la fine di qualcos’altro. Ecco che sono diventati, con caratteristiche diverse, anche loro simbolo di un mondo antico da ricordare con nostalgia: nella rappresentazione di oggi sono più l’ultimo colpo di coda di una società sicura di sé; di un Paese ricco, in espansione, dalla vita a basso costo e dagli stipendi in lire; di gente euforica, spensierata, di giovani con infinite possibilità davanti; di un sistema che tutto sommato si reggeva ancora su tradizionali affidabili fondamenta, e non era ancora stato sconvolto più che altro dai nuovi assetti geopolitici sempre più globali, nuove civiltà e crisi economiche.

È proprio questo il punto cruciale. Abbiamo rivalutato in profondo e veramente il decennio Ottanta non (solo) grazie al semplice scorrere del tempo, che permette uno sguardo più clemente verso gli eventi remoti, ma perché per noi contemporanei è permeato di quel senso di facilità che nei nostri contesti sempre più complessi viene meno; perché ora più che mai, di fronte alla Crisi attuale, abbiamo bisogno di mettere a paragone l’epoca più simbolica dell’antico benessere, trovando conforto in un passato mitizzato e quasi dimenticandone, come è successo per gli altri decenni, le zone d’ombra.

Francesca del Boca

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