Milano 12 Dicembre – Anche se non hanno un centesimo in tasca, suol dirsi che i poveri pagano per tutti. L’ultima, o meglio l’ennesima radiografia dell’Istat sui mali terminali del nostro Paese rimarca la crescita dei disperati senza fissa dimora destinati a raddoppiare con quelli in lista d’attesa. Un esercito di disgraziati che appartiene alla categoria dei deambulanti senza meta, abituati a sopravvivere e dormire sui marciapiedi, nei cespugli, dentro carcasse domestiche abbandonate. Barboni e senza Dio obbligati a pietire un tozzo di pane alla Caritas dopo aver rovistato nella mondezza o chiesto un giaciglio negli ostelli per non crepare al gelo della notte. Cifre da brivido se rapportate a terrificanti indicatori economici sulla disoccupazione e sulla crescita, per non infierire sul livello di miseria alimentare registrato dalla Coldiretti con i 6 milioni di italiani privi di denaro per nutrirsi due volte al giorno. E se, come ammoniva Seneca, è dell’inferno dei poveri che è fatto il paradiso dei ricchi, la povera gente che s’è rovinata per arricchire le quattro popolari in bancarotta salvate dal governo amico, adesso inizia a stringersi una corda al collo. È l’Italia degli infelici e dei furbetti, dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri mai così poveri. L’Italia che butta miliardi per salvare la Grecia e non trova spiccioli per risarcire i suoi risparmiatori. L’Italia partitocratica che in vent’anni s’è cuccata due miliardi e mezzo di euro di rimborsi elettorali esibendo ricevute solo per 580 milioni. Come a dire che se i politici hanno speso 1 euro, Pantalone gliene ha rimborsati 4. Questo perché l’Italia, esortava Flaiano, è mossa da un bisogno sfrenato d’ingiustizia. Una terra dove la logica finisce allorché inizia la politica dei tweet.
Gian Marco Chiocci (Il Tempo)
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