Che ce ne facciamo in Italia di un centrodestra alla Tsipras?

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Per vent’anni, Berlusconi si è affidato a Tremonti, che ora sul Corriere scrive tranquillamente di stare con Syriza. Chi si candida a nuovo, come Salvini, vuole tornare all’inflazione, alle nazionalizzazioni e alla liretta. Tutti chiedono più Stato. Eppure, un’Italia che vuole meno tasse e meno spesa c’è, è ora che la politica ne sia all’altezza…

Milano 7 Luglio – Caro Intraprendente,

ti dirò che mi girano parecchio le scatole. Non ho alcuna intenzione di incrociare le spade coi nuovi guru economico-finanziari dell’attuale destra italiana. Rispetto tutti i professori in cattedra e i loro neoseguaci, che ne citano i post sui blog come sure del Corano. Bannando e cliccando sui social chiunque dissenta. Facciano pure. Son troppo vecchio come osservatore della politica italiana, per non sapere che l’odore dei voti accarezzati di pancia fa girare la testa anche a chi per anni non ha parlato come un muezzin dal minareto. Ma una cosa la dico comunque. Una destra italiana che la pensasse in economia e finanza più keynesianamente dei più sgangherati ultrakeynesiani, è un aborto politico e un nonsense del pensiero.

Per vent’anni, Berlusconi si è affidato a chi oggi scrive sul Corriere che sta con Tsipras. Antiglobalista, perché è la globalizzazione che è entrata in Europa e non viceversa. Anti finanza e banche, figuriamoci, quando dal Tesoro non ebbe nulla da eccepire alle sfrenate follie della fondazione Montepaschi in MPS. E chi se ne frega se i signori greci devono 40 miliardi all’Italia, hanno avuto già due salvataggi e un abbattimento del 60% del valore del loro debito. E se difendono come santo diritto quello di andare in pensione in media 6 anni prima dei tedeschi, con pensioni tedesche, e un Pil pro capite meno della metà. Sono delle vittime, per carità. Dei feroci tedeschi, che dopo essersi tirati su le maniche a inizio anni Duemila, cambiando welfare, mercato del lavoro, spesa e tasse dacché stavano in ginocchio, hanno il torto di pensare che anche gli altri ci guadagnerebbero a farlo. Questa è la destra che abbiamo alle spalle, che ci ha preso per i fondelli per 20 anni promettendo riforme fiscali a due sole aliquote, al 23 e 33%, quando invece ha fatto correrespesa pubblica corrente e debito pubblico. Chiacchierando di federalismo e facendo il contrario.

E quella nuova? Non solo la pensa come la vecchia. Vuole tornare a stampare moneta e all’inflazione, pensa a nazionalizzazioni dall’agricoltura all’industria, e perché no anche delle banche. Vuole tornare ai vincoli amministrativi sui capitali e sulle banche: quel meraviglioso mix che ai tempi della liretta obbligò l’Italia ad andare col cappello in mano a Washington e Berlino per mendicare prestiti miliardari nel 1974, 1975, 1977, 1983 e via cantando… Quel mix meraviglioso che, dopo il divorzio tra Bankitalia e Tesoro, e il venire meno dell’istituto centrale e delle banche pubbliche come acquirenti obbligati del debito pubblico italiano, cementò fino al disastro del 1992-93 il grande blocco sociale di milioni di italiani che s’illudevano dei rendimenti a doppia cifra nominale dei Bot, dimenticando che l’inflazione egualmente a doppia cifra rendeva quella rendita un lasciapassare a vantaggio del solo Stato, cioè dei partiti che impennavano la spesa pubblica allegra fino a un massimo del 58% del PIL, a metà anni ‘90.

C’è qualcuno a destra che rabbrividisca all’idea che il debito pubbico italiano sia stato superiore al 60% del PIL per 11 anni su 150 anni di unità italiana, e sopra il 100% per 56 anni? E che mentre nel 1970 ancor in Italia era inferiore alla media Ocse, al 37% del PIL, nel 1995 aveva raggiunto quota 124,3% a fronte del 70% medio dei paesi avanzati? Oppure si sono tutti convertiti all’idea che il debito pubblico tanto non va ripagato, anzi basta concentrarlo nelle mani di famiglie e banche italiane ed ecco che diventa la ricchezza di una nazione? Pronti a fargli una bella sfoltita che ci esponga meno ai mercati, se hai visto mai non bastassero svalutazione e inflazione della neolira agognata a recuperare come ragioni di scambio internazionali quel che da 25 anni perdiamo in termini di produttività comparata?

l43-giulio-tremonti-economia-110615184648_bigChi le ha messe le basi, per i 55 miliardi di gettito fiscale in più mentre l’Italia perdeva 9 punti di Pil, se non la vecchia destra insieme alla sinistra? Chi si è inventato le tasse ad aziendam, come la Robin Tax? Chi ha costruito un finto federalismo che consente a Comuni e Regioni più che di compensare i tagli ai trasferimenti da Roma, attraverso le sovraliquote locali su Iperf e Irap, e moltiplicando del 150% il gettito patrimoniale sugli immobili in soli 4 anni?

Mi direte: sbagli, la Lega vuole la flat tax. Lo so bene, e siccome ne scrivo da oltre 20 anni, plaudo. Ma ho imparato nel tempo tre cose. Primo: l’aliquota di convergenza per rendere neutrale il prelievo su tutti i tipi di reddito va fissata a una soglia sufficientemente coerente a quella proposta per la no tax area: proporre la prima bassissima e la seconda altissima è una fesseria. Secondo: mai dimenticarsi che milioni di italiani si avvantaggiano diversamente di centinaia di detrazioni e deduzioni concesse dalla politica a questa e quella lobby, sono le cosiddette tax expenditures, e siccome nella flat tax sparirebbero, bisogna sapere che quei milioni di italiani diventano avversari da convincere. Terzo e anzi primissimo: dopo i vent’anni che abbiamo alle spalle, non esiste ALCUNA credibilità se non a patto di indicare con precisione assoluta i tagli alla spesa pubblica tali da rendere sostenibile senza deficit aggiuntivo nel medio termine una pressione fiscale che programmaticamente in 5 anni DEVE scendere sotto il 40% del Pil.

Io i tagli non li vedo. Non vedo battaglie contro i millle dirigenti illegittimi delle agenzie tributarie. Non vedo una destra che si straccia le vesti, contro le patrimioniali italiane che hanno già sommato il 2,5% del PIL nel 2014 riunendo mattone, risparmio, dividendi e transazioni finanziarie. Vedo solo statalismo becero in nome di “aiutiamo gli italiani”. E difesa di lobby contro laconcorrenza, a fini elettorali. E la difesa a oltranza delle 12 mila municipalizzate e società regionali. Nemmeno contro i 100mila precari da assumere nella scuola, la destra ha detto nulla di serio. Vedo una destra italiana uguale a Podemos e a Syrizia, e sul reddito di cittadinanza scimmiottante il M5S. Non vedo perché gli italiani non dovrebbero preferire gli originali all’imitazione. E tutto questo mentre il voto amministrativo mostra che un’Italia che vuole meno spesa e meno tasse continua naturalmente a esserci, a cominciare dal Nord. Se la destra pensa di vincere solo sull’immigrazione, auguri. Può anche essere che abbia ragione, non faccio lezione a nessuno. Ma personalmente non cambio idea: un pezzo almeno davvero liberale e liberista, mercatista e filo concorrenza, libero da ogni continuità col ventennio alle spalle, alla destra italiana attuale e futura serve eccome. Gli statalisti iperdeficisti e iperdebitisti andranno anche per la maggiore. Ma ci sarà sempre a sinistra qualcuno che li batte, perché è storicamente mestiere suo.

Oscar Giannino (l’Intraprendente)

 

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