I giornalisti si sono immersi nell’eredità di Ennio Flaiano alla Biblioteca Centrale con modalità adeguate cioè antiche, in presenza ed in un vasto auditorium, riempito da più di duecento esponenti della stampa. Evento di grande solennità, scambiato per corso di formazione, presieduto dalle eccellenze istituzionali, dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti laziali al direttore della Biblioteca Centrale, con i simboli dell’ultimo cinema romano alla Vanzina, dell’ultima politica romana alla piacioneria dell’ex sindachissimo capitolino Rutelli e degli strascichi del giornalismo di sinistra, dell’ultimo esponente della famiglia Berlinguer. Cose scomparse da tempo eppure attualissime che ricicciano sempre nell’eterna nostalgia italica che mantiene ben avvinghiato alla scena ciò che non è più. Nostalgia che si fa cronaca, vita vissuta, ricordo dell’infanzia. L’ex sindaco sventola un testo di Flaiano scoperto in adolescenza (Diario degli errori, postumo ‘76); Vanzina, figlio del regista Steno, che ha scritto, dopo centinaia di film, un Diario diurno (come i bagni diurni delle stazioni di un tempo), ricorda i maccheroni mangiati seduto tra Flaiano ed Age (sceneggiatore del duo Age & Scarpelli); non presente ma evocatissimo, Mieli, grande giornalista figlio dell’ancor più grande Renato, garantisce di essere stato praticamente educato da Flaiano fin dalla più tenera infanzia (sono, tra i viventi, uno dei pochissimi che ha conosciuto Flaiano davvero bene, di cui sono un esperto perché Ennio è stato uno dei più cari amici della mia famiglia, un uomo con cui ho passato la mia infanzia). Viene riportato che la madre di Mieli dirigeva la rivista del neuropsichiatra infantile Bollea (ma Telese la declassa a segretaria) dove scrisse Flaiano, padre di Luisa ragazza encefalopatica. Poi il futuro presidente della Rcs (ex Rizzoli, condotta al disastro nell’acquisizione della berlusconiana Mondadori) fu anche giovane collega dell’Ennio all’Espresso dove Flaiano era finito a fare il critico teatrale dopo la chiusura de Il Mondo. Là scriveva A forza di dare del fascista a tutti quelli che non la pensano come noi, finiremo come quel personaggio di Poe che chiamava “strane” tutte le cose che superavano la sua comprensione ed era perciò costretto a vivere tra una incredibile quantità di cose strane. Ognuno di noi finirà circondato di fascisti. Il ragazzo allora membro di Potere al Popolo chissà come l’ascoltava a bocca aperta.
L’incontro è tutta un’esaltazione unanime, adorante per lo storage senza fine degli aforismi (Deve esserci qualcuno che continua a spostare la soglia del ridicolo)dello scrittore, giornalista, satirico, sceneggiatore Flaiano del (Grande uomo di cultura, Idolo per talento, intelligenza, etica, Il mio amore per Flaiano è sconfinato, il Roth italiano, il Wilde italiano, Genio onnicomprensivo e anticipatore). Di lui si celebra l’indipendenza ideologica, l’anticonformismo, l’antiretorica ed il talentuoso eclettismo; qualcosa stride però quando viene fuori il mimetismo intellettuale(la satira è sempre superata dalla realtà, chi scrive di cose buffe non può essere italiano), la magia del nonsense, l’incantato disincanto. Tutta la conventicola, il gotha, o che vuol sentirsi tale, della letteratura e del cinema, tutta imparentata in sé stessa, trasportata sul palco dai ristorantini (Tra una coscia di pollo e una cicoria da Cesaretto aspetto la gloria) bar, salotti dove perennemente ci si incontra e ci si concentra, sente improvvisamente sempre meno parte del gruppo. il Flaiano. Eppure resta un mistero. Ci si illude che oggi lo scrittore racconterebbe il Maxxi, l’Auditorium, la Nuvola ma tra le righe se ne dubita. Dalle lodi poliedriche si passa al grande enigma della cultura italiana, al marziano romano(da Un marziano a Roma racconto e commedia teatrale di Flaiano del ’54 e del ’60 cui seguì un film Rainell’83.La prima al Teatro lirico di Milano nel ’60 fu un fiasco tremendo. Il carico finale lo offre il regista Corallo che definisce Flaiano con il titolo del suo documentario, Straniero in patria(su Raiplay).
A suo modo è dimostrazione di onestà intellettuale perché Flaiano avrebbe rispedito al mittente il carico di retorica esibita a suo favore. Al tempo stesso è una bella prova di nesci culturale nell’incapacità di ammettere l’ovvio. Ovvio che Flaiano appartenesse al club dei grandi giornalisti conservatori(con il cinico e disincantato Prezzolini, con l’arcitaliano Malaparte, con il cetriolino sott’odio Longanesi, con il cattolico monarchico anticomunista Guareschi, con Panfilo Gentile critico del radicalismo chic, con il realista Montanelli) Ovvio che Flaiano a Roma stesse a casa sua fin dal profondo anteguerra del ’22. Ovvio che fosse stato un frondista quando il frondismo era parte integrante del regime. E soprattutto ovvio che avesse vissuto, assieme alla sua compagnia, in perfetta continuità il passaggio tra anteguerra e dopoguerra, raccontando come anche Roma non fosse cambiata affatto se non per uno scivolamento progressivo nel cafonal triviale e sciatto (Vivere a Roma è un modo di perdere la vita, Roma ti può far morire, inconoscibile enorme garage del ceto medio d’Italia). Flaiano testimoniava più che il modo di cambiare il modo di raccontare Roma(titolo del seminario) come l’Urbe riuscisse a restare, forte di una secolare storia, impermeabile alla modernità. Tanto da prendere in giro e ignorare, dopo una prima meraviglia perfino l’arrivo di Unt, il marziano sepolto a pernacchie. L’ironia tagliente, i modi educati, affettati e composti, la voce impostata, gli abiti datati erano un muro di separazione dall’avanzante volgarità e dalla stupidità incombente, dominante nelle smanie di un paese che perse le aspettative dell’epilogo risorgimentale. Ovvio che l’Italia non potesse essergli riconoscente; non lo fu a lui, al poliedrico amico artista Maccari l’autore delle battute Ho poche idee, ma confuse e I fascisti si dividono in due categorie, i fascisti e gli antifascisti)a Pannunzio, suo direttore a Oggi e Il Mondo dove Flaiano scrisse dal ‘31,aLonganesi. Erano considerati tutti una manica di fascisti e questo bastava. Poi Flaiano prendeva in giro selvaggiamente i comunisti, disprezzava i fascisti divenuti antifascisti, irrideva la Resistenza. Peccati mortali.
Senza sbocchi di senso (Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore), si imponeva la demenzialità qualunquistica che a fine secolo ha finito per dilagare anche sul fronte progressista. I suoi eredi sinistri, neofiti rispetto a Flaiano, non riescono a spiegarlo, se non ricordandone il pessimismo cosmico (Scrivere serve a sconfiggere la morte). Migliori gli interventi di Ismande Il Messaggero e della De Mattei psicoanalista ed ex critica teatrale de Il Tempo, cresciuta nel milieu de Il Mondo, fedeli allo svolgersi dell’opera del festeggiato. Alla fine, lo scrittore con un nome da antico romano, uno stile da epigrammi, 60 sceneggiature realizzate, offre i contenuti dei felliniani La dolce vita (La Dolce Vita è tutta sua) e Otto e mezzo. Allora tra i potenti che dominavano da due vie di Roma nelle limitazioni di risorse del dopoguerra, quando le coperte distribuite dagli americani diventavano cappotti, il Nostro torna in auge soprattutto quando si inventa anche il termine paparazzo. Rifioccano le lodi, geniale a più dimensioni, superiore, profetico, immaginario, effimero, osservatore realista, tagliente, veloce, moderno, disappartenente, marginale, impolitico, puntuto aforista, inarrivabile, icastico, impermeabile, poliedrico, affascinante antiretorico(Io ho orrore delle cose che hanno un messaggio perché quello che faccio non ha alcun senso),grandissimo rinunciatario. Fa rabbia infatti l’autoesaltazione del pigro ma prolifico scrittore. (Il difetto principale dello scrittore italiano è quello di voler scrivere bene. Io cerco di scrivere male ‘apposta’, nel tentativo di farmi capire, Io scrivo per essere escluso).Certo che per Telese Flaiano resta indefinibile. Uomo non di moda, che non vuole esserlo, non è collocato, naviga controcorrente senza risolversi completamente, senza diventare il committente di sé stesso. Il contrario dell’amichettismo passato dai ristorantini ai museoni ed alle accademie. Che pretendono però che Flaiano sia uno di loro. Chiede la giornalista, Gli intellettuali di destra diventano poi bandiera della sinistra? Mieli secco mente, Flaiano di destra non lo è mai stato. Però al nome di Flaiano ci si deve alzare in piedi. Non si capisce (non si vuole) il metodo di produzione ma il risultato è inebriante.
Per farsi un’idea dello scandalo del novello Aristofane, si leggano La guerra raccontata ai poveri ed Il suo (capolavoro) Tempo di uccidere. Il primo, testo teatrale del ’46 è tremendamente cinico e veritiero pur buttando in faccia ad un paese bombardato e distrutto dal conflitto l’ineluttabilità dello scontro connesso ai ruoli di potere ed alla stessa organizzazione sociale umana. Il secondo, romanzo del ’47, premio Strega, tratta paradossalmente dell’Etiopia come l’Impero non fosse andato perso, come il colonialismo non fosse morto, regalando al paese africano tratti magici da India e antica Grecia. Il senso di colpa delle avventure del protagonista (recitato da Cage nel film di Montaldodell’89),originate da un banale mal di denti e scivolate in un incubo ad occhi aperti, si perde nell’assenza di conseguenze che pone fine ad ubbie e paure. Si è molto oltre anche nella più grande contrarietà al politicamente corretto. È una visione altra rispetto alle dominanti letterarie e culturali. Eppure sfonda per superiore maestria. Piccoli potenti dei media e della carta stampata guardano agli dei di un tempo, tra cui Panunzio, Soldati, Patti, Artieri, Badano. Gervaso, lo zio Marchese del Carosello (Gesù parlava di essere fratelli, lui però era figlio unico) e propongono l’ennesimo premio. Flaiano però sfugge loro, assieme alla sua banda marziana di conservatori che restano un’altra cosa, inarrivabile, raramente mostrata al grande pubblico se non in via caricaturale. Eppure il gruppo musicale Legittimo Brigantaggio del cantante Lestingi nel 2011 ha cantato il romanzo Tempo di uccidere nel pezzo omonimo (l’Africa è una donna che sa di veleno, Di questa divisa italiana cosa pensi?Anche Dio mi offre una sigaretta, si arrotola una pagina della Bibbia).

Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.