Lo sfregio al Male nella naziexploitation – La condanna

Cultura e spettacolo RomaPost

Parallelamente alla caccia al nazista di Olivier, Peck, Kirk, Voight, Marvin, Bronson, Hoffman, Spielberg, Pitt,Penn, Pacino, di supereroi spaziali, giustizieri del giorno e della notte ed italoamericani, tra sogni di vendetta sadici e stravolgimento della storia, in attesa della successiva macabra strage horror, si sviluppa anche la condanna per l’orrore folle della tragedia più buia della storia. La condanna, per essere tale, non può non ripercorrere i fatti ma finisce per deformarli grottescamente. Non bastano le immagini dei campi di concentramento, tra superstiti vivi, ma ridotti a scheletri deambulanti; nemmeno sono sufficienti i racconti strazianti. Negli anni ’70 i fatti vengono espansi in un quadro immaginario che avrebbe caratterizzato i campi di concentramento tedeschi, in particolare femminili ma non solo, con atroci barbari massacri, omicidi, torture, stupri, sevizie carnali, scene di lesbismo ed altri rapporti contronatura praticati su giovani ebree, e non solo dai guardiani in divisa nazista. Queste pratiche si sarebbero tenute oltre che nei lager, anche in bordelli per gli ufficiali nazisti. È storica l’organizzazione, nei 42.500 lager e ghetti tedeschi, di specifici 500 casini sparsi per l’Europa, dove donne e ragazze, prigioniere, si dovevano prostituire per il pane e per la vita.

exploitation

Non è storico il livello di violenza gratuito splatter che condisce le rappresentazioni con l’intento di entrare nel filone d’exploitation (sfruttamento), del prodotto a basso costo il cui successo è l’attrazione dello scandalo puro, subita dal pubblico. Come le riviste pulp, sensazionaliste e gossipare, anche i film d’exploitation, all’inizio, volevano mostrare, con sguardo molto reazionario, aspetti sensazionalistici o caricaturali della realtà. Erano finti documentari sui comportamenti asociali, sprovveduti e degradati di criminali e afroamericani (incidenti, suicidi, alcoolismo, pratiche di morte), sulle superstizioni (masochismo delle suore e dei religiosi), sul terzo mondo (mondo film e cannibal movie); poi si erano concentrati sulla controcultura hippie e freak, sulla diffusione dei contraccettivi, sulle discoteche, sui gay, mescolandoli, in un gioco di causa effetto, con l’aumento di reati criminali, violenze e maniaci omicidi (spesso mascherati). La forma documentario era perfetta per fingere uno sguardo neutro che lasciava al pubblico la meraviglia, il ribrezzo, la riprovazione e la condanna sullo scandalo di sesso, violenza, droghe

Le cose si ribaltarono man mano che il pubblico cominciò ad apprezzare senso e violenza e non tollerare più toni paternalistici e moralistici. Il limite del tabù se affievolito abbassava la censura. Tarantino e Rodriguez, registi pulp, hanno descritto le cinesale, dette grindhouse di Broadway, Hollywood Boulevard e New York, che trasmettevano maratone di coppie di film d’exploitation, inframmezzate da show di musica, burlesque e balli.

Nazisploitation

Nell’ondata dei ‘70 e degli ’80 andarono in scena, senza giudizi di sorta, violenza, bizzarrie e perversioni  disperse nei sottogeneri del serial killer mascherato, del motociclista fiammeggiante, del carceriere con donne in prigione, del cannibale e dello zombi . Alla fine, non poteva mancare il pervertito nazista nell’inferno dell’Olocausto. I grind durarono fino ai ’90 poi l’home video uccise questo paracinema, proprio come il video aveva ucciso la radio. Nobili esequie vennero tributate al genere splatter un tempo disprezzato. I titoli, però, come Ichi the Killer 2001 di Miike, La casa dei 1000 corpi 2003 e La casa del diavolo 2005 di Zombie, Cabin Fever 2002 di Roth, Kill Bill 2003 e 2004 di Tarantino, Grindhouse 2007 di Rodriguez e Tarantino, Cabin Fever Il contagio 2009 di West, The Green Inferno 2013 di Roth, Cabin Fever Patient zero 2014 di Andrews, avevano una qualità ben superiore al riferimento originale. Non si può non ricordare che l’Italia della dittatura, e del primissimo dopoguerra, con i bordelli aperti e le scurrilità con nudità libere dei varietà più infimi aveva i suoi grindhouse; le parate di ballerine, ad esempio, delle 80 gambe di Macario, alternate a un paio e più di film erano il tipico spettacolo nell’Italia dell’anteguerra fino agli anni ’50, prima che calasse la sessofobia socialcattolica dell’intreccio di neorealismo, impegno, e comicità castigatissima.

sesso, sangue e svastica

Con SS crudeli e perversi, l’exploitation trovava un mondo da rappresentare, senza limiti; il nazismo poteva essere usato come landscape dell’horror, dell’erotico, del carcerario, del pornosadomaso, più sfrenato, più ributtante e più schifoso. Non era più condanna del Male, neppure suo feroce dileggio propagandistico; diventava allegoria di un

Camp 7 lager femminile di Frost

mondo fisicamente, ributtante.

Dopo l’anticipazione della spy story ’69, Camp 7 lager femminile dell’americano Frost, parallela alla Magna trilogia, passa l’archetipo splatter di genere nel trittico di Ilsa più uno (i canadesi Ilsa, la belva delle SS ‘75 e Ilsa la belva del deserto ’76 di Don Edmonds; La tigre del sesso o della Siberia, ’77 di La Fleur ed il women in prison movie Greta la donna bestia ’76, Greta Haus ohneMänner, ambientato in un ipotetico stato sudamericano dello spagnolo Franco).

Ilsa

L’iniziale wip conduce al manifesto delle tre S (sesso, sangue e svastica, cui si dovrebbe aggiungere stalinismo). L’americana Thorne, scomparsa l’anno scorso 83enne, così bionda e ipergiunonica da ricordare la Mansfield e la Eckberg, con uno sguardo alla Dietrich, ha recitato in piccole parti con De Niro, Holmes, Belushi ed in Star Trek, finendo la carriera, per contrappasso, con un ultimo ruolo da trans. È però divenuta leggenda con le figure delle sadiche aguzzine Ilsa e Greta, regine dei lager, dei gulag e dei desaparecidos, elevatasi in reggiseno appuntito sul massacro e sul lavaggio del cervello.

La condanna trash del nazierotico sarebbe finita al rango degli nazizombi se non fosse stata elevata, da tre opere italiane della settima arte, alla salvificazione della deriva in eccesso. I tre film uscirono, tra ’74 e ’76, a ridosso del più gran successo elettorale comunista, quando alle amministrative del ’75, undici milioni di italiani votarono Pci. Con macabra luce i film vennero illuminati dall’evento del tremendo omicidio del ’75 di uno degli autori, Pier Paolo Pasolini, proprio nel contesto dei modi e dei mezzi immaginati utilizzati dal nemico condannato.

Salò o le 120 giornate di Sodoma ’75 di Pasolini

 I film sono Il portiere di notte ’74 della Cavani, Salò o Le 120 giornate di Sodoma ‘75 di Pasolini e Salon Kitty ‘76 di Brass; opere nobili, padri di uno dei più deliranti sottogeneri cinematografici, il nazixploitation, al confine più con lo snuff che con il porno che di solito finisce tutto bene. L’icona è l’attrice Rampling a seno nudo in pantalone, bretelle e cappello da SS, a rappresentazione della debolezza dell’epoca e della società europea davanti al giganteggiare dell’incubo nazista. Non si poteva prevedere che le intenzioni alte, estetiche ed ideologiche delle tre opere si sposassero così bene con la bassa exploitation, anche se Salò resta un prodotto fisicamente disturbante e di Salon Kitty, Tarantino, il regista principe del pulp gratuito e violento senza limiti, ricordi la rappresentazione ributtante (Uccidono un maiale nei primi tre minuti, una volta che hai visto una roba così, la cosa più strana vista al cinema). La nobile base diede comunque il via alla nazixploitation erotica cui tutto fu ammesso e giustificato.

nazichic

Nella Vienna post occupazione sovietica del ’57 ma fondamentalmente ancora nazista, un’ebrea ex deportata si trova in un albergo pieno di ex nazisti fra cui il portiere di notte già suo torturatore. I due riprendono il rapporto sadomaso di un tempo e l’ex SS difende l’ebrea, fino al comune sacrificio dai commilitoni che si preparano, mimandolo, al processo che li attende. La tesi, sottotraccia, malgrado il conclamato rifiuto del negazionismo, è la denuncia di un nazismo sempre al potere, tanto che processo e minacce sono in mani naziste mentre l’ebrea soggiace al suo ruolo di vittima, già coercizzata, poi consenziente. L’attenzione e la censura andarono tutte solo sull’eroticità dell’opera nell’anno del processo a Ultimo Tango a Parigi. La regista carpigiana che all’epoca preparava un documentario sulla lotta antinazista delle donne partigiane, fece riferimento a testimonianze di vicenda reale; eppure la plausibilità storica fa acqua da tutte le parti. Non vengono illuminate, come venne detto, le ambiguità del passato e del nazismo, anzi. L’opera però corrispondeva all’esigenza della sinistra politica di affermare la presenza stabilmente minacciosa ed attuale del nazismo nella società.

Salon Kitty

Alle poche scene di nudo, magari con catene, del film della Cavani, corrisponde una bella quantità di torture e deformità nel Salon Kitty brassiano. Il Salon Kitty, sito in Giesebrechtstrasse 11, fu uno storico e lussuoso bordello berlinese, Edel-Puff, aperto nel ’39 dalla maitresse amburghese Schmidt, nickname Kaetchen poi Kitty che proseguì poi il suo lavoro, anche sotto regime democratico, fino ai 72 anni in altre pensioni, la Kunstlerpension e la Florian fino al ‘54. Malgrado che la prostituzione venisse repressa violentemente dai nazisti, i bordelli illegali prosperavano (come sarebbe avvenuto anche sotto il comunismo); il Salon, grazie a due piani arredati con opulenza, nove boudoir con vasca da bagno, abbondante champagne ed una ventina di ragazze tedesche bellissime, ben truccate, acculturate, capaci di intrattenere ricchi, militari e diplomatici che volentieri pagavano le tariffe più alte, poteva contare su ben 10 mila clienti l’anno, dati ’40. C’era anche la 27enne Ackerman che nel ’76 confermò l’abitudine degli uomini di non togliersi i calzini, comune a clienti quali Ciano, Goebbels ed il futuro ambasciatore a Bonn, Luciolli.

Salon Kitty ‘76 di Tinto Brass

Lo studio Kittys Salon, Legenden, Fakten, Fiktion di Schrammel e Brunner ha confermato la leggenda, già raccontata ne Il labirinto, diario del ’56 dell’ufficiale tedesco Schellenberg e nel romanzo Madam Kitty di Norden del ’73, sull’uso spionistico del bordello grazie a microfoni, cimici, stanza d’ascolto nel seminterrato ed all’addestramento delle prostitute che facevano regolari resoconti. L’SS Heydrich e Schellenberg, capo del controspionaggio nel ’38 avevano voluto organizzare questa centrale di spionaggio a carico dei ricchi e noti clienti che però, sembra, si accorgevano dei microfoni piazzati proprio sotto il cuscino. Convinsero la Kitty minacciandola all’arresto per il tentato espatrio clandestino con valuta pregiata in Olanda ma forse la maitresse non aveva bisogno di tante pressioni, visto il trattamento di favore; dopo il bombardamento inglese del ’43, il Salon, che combinava lusso e atmosfera quasi familiare, venne subito spostato, risistemato, su un altro piano del medesimo palazzo.

La messa su schermo di Salon Kitty del Brass del futuro Caligola offre una componente erotica equilibrata tra scene di sesso, perversioni sadomaso, nudi frontali e fondoschiena femminili rappresentati a regola d’arte in un’atmosfera festosa, eccessiva, e decadente da guepière e svastiche. Gli ufficiali travestiti o che utilizzano pani di forma fallica sono satirizzati, più scabrosi e ridicoli delle eleganti ragazze, curate nei gesti e nei costumi adamitici su cui l’arte del regista, non a caso detto il re degli specchi, passa omaggiando la dignità dell’erotismo. Le perversioni toccano più gli uomini di potere, degradati, che si lasciano andare di fronte al fascino delle prostitute e risultano alla fine vittime di sé stessi. I maneggi delle puttane faranno giustiziare proprio la SS autrice delle esecuzioni. Non risultano storici gli omicidi dei clienti spiati e dissenzienti direttamente nel bordello, raccontati dal film. Seguirà due anni dopo il porno francese Bordello a Parigi ’78 di Bénazéraf, dove le prostitute collaborano con i partigiani del maquis e vengono punite da SS femmine con durissime torture e sevizie sessuali, interrotte dalla liberazione alleata. La riproposizione di prostitute spie russe di Red sparrow 2018 di Lawrence non è altrettanto comprovato storicamente, al contrario della storia della puttanella 17enne inglese Keeler, che al servizio dei sovietici inguaiò il ministro Profumo nel ’61, vicenda cui la Bbc ha dedicato la serie tv The trial of Christine Keeler 2019 di Harkin.

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