Tra i violenti arrestati in Stazione Centrale, vi erano il centro sociale beneficiato dal Comune, senza bando, di una sede di 300 metri quadri dal marzo di quest’anno
Milano, teatro e vittima di violenti disordini durante la manifestazione per la Palestina, in Stazione Centrale con diversi arresti tra gli attivisti e i manifestanti Mentre le fonti ufficiali confermano 5 arresti e 2 denunce, gli antagonisti parlano di 7 persone finite in manette, inclusi due minori e, soprattutto, alcuni esponenti dei centri sociali milanesi. Le accuse sono di danneggiamento e resistenza aggravata contro i pubblici ufficiali della polizia.
Ciò che indigna è che tra i violenti in Stazione Centrale ci sarebbero anche membri del Lambretta, lo storico centro sociale che, nel silenzio generale, ha recentemente ottenuto dal Comune di Milano una sede pubblica. Una sede, 300 metri quadrati in via Rizzoli, concessa per ben 18 anni senza alcun bando, un premio per anni di occupazioni abusive in città.
È un paradosso grottesco: un centro sociale che riceve un’assegnazione pubblica, un riconoscimento dalle istituzioni, e poi scende in piazza per perpetrare violenza e disordini proprio contro quelle stesse istituzioni. Le immagini del 22 settembre alla Stazione Centrale sono scioccanti: cariche contro i cancelli, pali e transenne usati come armi contro la polizia, viaggiatori terrorizzati costretti a barricarsi all’interno. E in mezzo a tutto questo caos, a quanto pare, c’erano anche coloro che hanno beneficiato della generosità del Comune.
La presenza di esponenti del Lambretta tra i violenti, confermata anche dai messaggi di solidarietà di altre sigle antagoniste, solleva un interrogativo cruciale: il Comune di Milano è consapevole di sostenere realtà che fomentano disordine e attaccano le forze dell’ordine?
Di fronte a questo scenario, la richiesta del consigliere Sardone di sfrattare il Lambretta dalla sua nuova sede pubblica appare non solo legittima, ma doverosa.
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