In viaggio tra San Diego e Los Angeles, la mia attenzione è stata catturata da un dettaglio che, agli occhi di un avvocato italiano, risulta insieme curioso e spiazzante. Ovunque, sulle panchine, sui bus cittadini, persino sui grandi cartelloni stradali, campeggiano sorrisi rassicuranti e slogan incisivi di avvocati pronti ad offrire assistenza legale immediata.
A San Diego ho visto un’intera panchina trasformata in veicolo pubblicitario: “Injured in a car accident? Call Attorney King”. A Los Angeles, gli autobus viaggiano tappezzati da gigantografie di legali noti come “The Law Brothers”, mentre un imponente cartellone raffigura “The Amigo”, avvocato specializzato in incidenti, che si propone in modo diretto e quasi familiare.
Sono immagini che mi colpiscono non solo per la loro pervasività, ma soprattutto perché mostrano come l’attività dell’avvocato venga assimilata, senza riserve, ad un servizio commerciale da pubblicizzare con le stesse tecniche del marketing ordinario. L’invito è diretto e senza mediazioni (“Call the Law Brothers”). Un approccio che punta all’immediatezza, alla riconoscibilità e alla captazione istantanea del potenziale cliente. E’ un fenomeno ormai radicato nel mondo anglosassone ove la pubblicità legale è strumento di competizione e di attrazione del cliente.
Il mio pensiero corre inevitabilmente al nostro contesto nazionale. In Italia, un simile approccio sarebbe inconcepibile. Il Codice Deontologico Forense, pur consentendo la diffusione di informazioni sull’attività professionale, impone limiti stringenti. L’informazione deve essere veritiera, corretta, trasparente e non deve mai assumere toni suggestivi o promozionali.
Niente slogan, niente promesse implicite di successo, niente leve emotive rivolte a chi vive il dramma di un incidente o di una controversia. L’avvocato italiano è tenuto a mantenere un profilo sobrio, fondato sul decoro e sulla dignità della professione. L’invito a “chiamare subito” che campeggia sulle strade californiane costituirebbe da noi una violazione disciplinare.
Il contrasto rivela due modelli profondamente diversi. Negli Stati Uniti l’avvocato è percepito – e si autorappresenta – come operatore di un mercato altamente competitivo, libero di adottare le stesse strategie di visibilità di qualunque altro servizio. In Italia, al contrario, permane una visione che lega l’avvocatura alla funzione sociale sancita dall’art. 24 della Costituzione: l’avvocato è presidio di giustizia, non imprenditore della lite.
Tale differenza non è un mero tecnicismo regolamentare; per contro è la spia di una diversa cultura giuridica.
Laddove in California l’accesso alla giustizia passa anche per la forza comunicativa di un cartellone pubblicitario, in Italia esso deve rimanere ancorato a un rapporto fiduciario che non tollera slogan o suggestioni commerciali. Guardando quei bus colorati e quelle panchine brandizzate, mi sono chiesta se il nostro rigore non rischi talvolta di apparire eccessivamente formale. Eppure, al di là delle differenze culturali, credo che il limite imposto dal Codice Deontologico Forense non sia un retaggio da superare, ma una tutela essenziale: serve a preservare la dignità della professione e ad impedire che la giustizia diventi merce da vetrina.
San Diego e Los Angeles mi hanno offerto così, oltre alla bellezza delle loro coste e alla vivacità delle metropoli, uno spunto prezioso. Mi hanno ricordato che, in un contesto sempre più dominato dalla logica del marketing, l’avvocato italiano deve restare fedele alla sua missione più alta, quella di garantire i diritti dei cittadini con indipendenza e decoro.
Avv. Simona Maruccio
simona@maruccio.it

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.