Sabato Milano vivrà una giornata che fotografa meglio di ogni analisi la crisi profonda del cosiddetto “Modello Milano”. Non ci sarà una sola manifestazione contro lo sgombero del Leoncavallo, ma due: una al mattino, con partenza da piazza Duca d’Aosta e guidata dai centri sociali più radicali come Cantiere, Lambretta e Vittoria; e una al pomeriggio, da Porta Venezia, convocata dagli storici attivisti del Leonka, cui si aggiungeranno le bandiere di Cgil, Anpi, Arci e la presenza – ufficialmente personale, ma politicamente significativa – di molti esponenti del Pd.
Uno spezzettamento che racconta la fine dell’alleanza arancione: la sinistra che fu unita sotto Pisapia e che Sala ha progressivamente logorato oggi si presenta divisa in tre blocchi inconciliabili.
Tre anime, tre interessi diversi
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I centri sociali: radicalmente contro il “Modello Milano”, accusano Sala di aver svenduto la città agli immobiliaristi e contestano l’ipotesi di un Leoncavallo “normalizzato” in via San Dionigi, sede concessa dal Demanio in cambio di affitto e ristrutturazione. Per loro, la parola d’ordine è autogestione pura, senza compromessi.
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Il Pd: ufficialmente non c’è, ma nella pratica ci sarà, con segretari e consiglieri pronti a mettersi dietro gli striscioni “istituzionali”. La linea è chiara: non esserci abbastanza da sembrare presenti, ma abbastanza da cacciare chi contesta. Una posizione che fotografa più l’imbarazzo che una strategia politica.
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Il Leoncavallo: dopo lo sgombero, la priorità è tenere insieme il fronte dei finanziatori e non compromettere il dialogo con Palazzo Marino per la nuova sede. L’obiettivo è sopravvivere, anche al prezzo di rinunciare alla radicalità che per cinquant’anni ne ha fatto un simbolo.
La frattura con Sala
Il paradosso è che il sindaco non è neppure il protagonista visibile della vicenda, eppure su di lui ricade l’accusa più pesante: aver “venduto Milano” ai costruttori e agli interessi immobiliari, come hanno gridato dal palco gli attivisti di “La terra trema”. Piantedosi ha firmato lo sgombero, ma a Milano è Sala che paga il prezzo politico.
Un equilibrio impossibile
La tensione tra radicalità e istituzione, tra autogestione e compromesso, tra memoria storica e sopravvivenza quotidiana esploderà nelle strade sabato. Il tentativo di mediazione di figure come Primo Minelli (Anpi) mostra tutta la difficoltà di tenere insieme anime che non vogliono più stare insieme.
Il dato politico è semplice: la sinistra milanese non ha più un linguaggio comune. Quella che un tempo si presentava come la coalizione arancione oggi è una fotografia sgranata di divisioni e sospetti reciproci.
Il corteo contro lo sgombero del Leoncavallo rischia così di diventare la manifestazione del tramonto di un modello politico che, per anni, ha fatto di Milano il laboratorio della sinistra italiana.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.