Fate finta che la vittima sia una donna

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Secondo l’intelligenza artificiale, maschicidio è una forma di violenza sociale, politica e culturale che non esiste.

È un termine adottato da chi polemicamente intende minimizzare il legittimo femminicidio, per ostacolare il naturale progresso delle donne in un mondo in cui malgrado tutto comandano ancora gli uomini. In effetti la comunità scientifica, politica, culturale non riconosce alcun maschicidio. E come si fa se l’uomo viene ucciso dalle donne di famiglia? Si cercano le sue colpe per dimostrare che la morte, lui, se l’è meritata. Il contesto è quello di un paese dove muore poca gente per omicidi volontario. In Italia 319 assassinati nel 2024, mezza vittima ogni centomila persone. Statisticamente un dato irrilevante di cui non dovremmo neanche parlare. Le statistiche più avanzate parlano di violenza eterocispatriarcale e di genere con 98 (e 53 tentativi a vuoto) donne vittime (femminicidi), 6 suicidi di donne cis, le quali sono, in sintesi, donne, un uomo cissuicidatosi, che sarebbe poi un abituale etero, un trans, che sarebbe un uomo divenuto donna, ucciso, 2 donne scomparse e 7 casi in accertamento. Quando si dice violenza di genere si intende violenza maschile, mentre la violenza eterocispatriarcale è violenza eterosessuale, cis (ancora eterosessuale) con l’aggravante di una immaginifica ideologia patriarcale (tipo padre padrone, che tra l’altro trattava la dominazione di un padre sul figlio).

Si tratta di un linguaggio d’odio che come tale dovrebbe essere trattato.

L’unica cosa che allieta il clima è il coinvolgimento delle donne, colpevoli in qualche modo perché sul fronte sbagliato (etero e cis) e magari a loro insaputa sostenitrici della cd. ideologia patriarcale. Se mezza vittima ogni centomila persone è quasi un nulla statistico, immaginarsi un sesto di vittima. Il problema non è costituito dalla variegata e colorata folla di espressioni alternative del transumanesimo e nemmeno dagli odiatori. Il problema è la disponibilità istituzionale a raccogliere la messa di stravaganze concettuali distribuite da media e culturame. Parallelamente le istituzioni non vedono le pratiche sociali di repulsione, avversione, ostilità verso il genere maschile, colpevole di un antico dominio da punire. È più facile oggi ignorare violenze psicologiche, false denunce, privazione dei figli, discriminazioni sanitarie e sociali, vendetta sessuale, marginalizzazione, esclusioni giuridici e sociali, se sono a carico degli uomini. Anche chi si occupa dell’argomento lo fa perdendo di vista il dato centrale essendo interessato ad accrescere l’attenzione globale sulla violenza domestica.

La nostra giustizia è tra le più curiose al mondo. È fanatica di storia tenendo aperte o riaprendo inchieste di molti decenni fa.

È fantasiosa, capace di immaginare e trovare le impronte di un branco intenzionato a uccidere nell’angusto spazio di una doccia. Ora si trova davanti ad un efferato omicidio avvenuto in una casa friulana. Il cadavere dell’uomo 35nneè stato trovato, fatto in tre pezzi, in un bidone del garage della casa. Il ritrovamento si deve all’autodenuncia della colpevole, la compagna dell’uomo. Poi la madre sessantenne dell’uomo ha ammesso di avere fattivamente ucciso il figlio, su idea della sua moglie morganatica. L’ucciso lascia una bimba neonata avuta con la compagna.

Le prime notizie su questo delitto casalingo del venerdì

Si sono concentrate su futilissimi motivi, quali i rimproveri della madre al figlio per la non preparazione della cena e della tavola alla sera. Ulteriori notizie hanno svelato un quadro triste e devastato. La compagna dell’uomo è una disoccupata colombiana la cui ultima attività sembra sia stata una generica assistenza sociosanitaria, fra badante e infermiera. Il parto l’aveva stressata fino a portarla ad uno stato catatonico. La madre, infermiera molto riservata, ben conosciuta e stimata, era da tempo depressa e smagrita per i cattivi rapporti con il figlio. Da tempo, meditando il suicidio, si era portata a casa dell’insulina utile alla bisogna. Il meglio è riservato all’uomo, figlio di un egiziano che non lo aveva riconosciuto. Disoccupato, senza lavoro fisso, viveva con la famiglia a carico della madre, condannato per piccoli reati dal procurato allarme e minacce da minorenne, alla coltivazione di sostanze illecite, recupero di residuati bellici, violenze verso un ex collega ed animali e video esibizionistici. Amava il Sudamerica dove voleva tornare. Il cumulo penale, da esecutivo, gli avrebbe tolto i documenti necessari per partire con compagna e bimba per la Colombia. Secondo l’ammissione della madre l’urgenza del viaggio, cioè l’abbandono della casa materna, è la vera causa dell’omicidio. La madre si è detta convinta che il figlio che minacciava da tempo la compagna, l’avrebbe uccisa in Colombia. Inoltre si riteneva in dovere di salvare il destino della nipote che in Sudamerica chissà quale fine avrebbe fatto.

Non ci sono denunce a testimoniare violenze dell’uomo su compagna e figlia.

La compagna, per testimonianze terze, sembra non fosse contraria a tornare in patria. Più che la violenza dell’uomo, appare il ruolo da padrona della madre che si era attaccata alla colombiana come una figlia. L’unica cosa certa è la convivenza di persone turbate con problemi psicologici tra litigi, preoccupazioni, rimproveri. Tutto questo è però travolto dai dati di fatto omicidiari. Il delitto, in una agonia di 6 ore, è stato premeditato con l’acquisto delle sostanze utili ad uccidere, la somministrazione di narcotici, lo stordimento con l’iniezione di insulina, lo strangolamento con lacci di scarpe, infine il taglio del cadavere con un seghetto e la sua copertura con calce viva per evitare l’odore della decomposizione. I dati di fatto sono istigazione all’omicidio, omicidio premeditato, occultamento e vilipendio di cadavere con le aggravanti del vincolo di parentela e della presenza di un minore.

Il delitto efferato sembra sparire però di fronte al ritratto delle assassine.

La compagna 30nne è un’omicida? No, è madre, in preda al malessere; l’unica sua responsabilità sembra quella di badare alla figlia che le è stata restituita mentre evitava il carcere. In realtà anche la bimba dovrebbe essere messa al sicuro da una genitrice così pericolosa. L’alleanza tra le donne, così affiatate, viene dipinto quasi come un nucleo familiare positivo teso al benessere della prole. Le donne però hanno vissuto giorni vicino a compagno e figlio fatto a pezzi. L’inevitabile psicologo ha parlato di dolore irreparabile, carenza di ascolto quasi che il consultorio possa prevenire una tale voglia macabra di uccidere.

Per deduzione, piano piano, la vittima sta passando sul banco degli imputati.

Un tipaccio ambiguo e irresponsabile che può venire calunniato senza sosta, dopo che è stato smembrato come in macelleria. Ne sta uscendo un ritratto da colpevole, più pericoloso delle omicide. Si resta curiosi di vedere se alla fine la clemenza varrà per nuora e madre, la condanna morale per l’uomo o se l’interpretazione togata saprà salvare i padri come finora fatto per le madri. Chissà se per l’uomo così straziato varranno attenuanti, premure e protezioni. Per evitare malaugurate sorprese giudiziarie di decisioni che lasciano a bocca aperta, resta solo una speranza. Toglietevi dalla mente il sesso dei protagonisti di questo delitto, scordate i rapporti di parentela.

Fate finta che la vittima sia una donna. Così la salverete.

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