Israele e l’opinione pubblica internazionale

Esteri RomaPost

Sembra che il mondo tuoni contro Israele. La richiesta di sospensione delle attività militari a Gaza viene ripetuta dal Vaticano, da fonti europee e mondiali, caldeggiata dalla Casa Bianca. La comunità internazionale fa piovere su Israele un diluvio di esposti, mozioni, inchieste e accuse di crimini militari. Cinque facoltà dell’Università di Firenze hanno sospeso o risolto gli accordi esistenti con le università israeliane dopo la richiesta di oltre 500 di docenti e studenti. A Bogotà, tra dittature, emirati e democratici di sinistra il Gruppo dell’Aia (Irlanda, Portogallo, Spagna, Turchia, Bolivia, Brasile, Cile, Uruguay, Cuba, Honduras, Nicaragua, Sudafrica, Namibia, Algeria, Gibuti, Libano, Oman, Qatar, Bangladesh, Cina, Indonesia, Malesia) ha promosso boicottaggio e sanzioni contro Israele, presenti per l’Onu la Albanese e Lazzarini dell’Unrwa, per l’europarlamento la Hassan di France Insoumise. In Irlanda a breve una legge vieterà l’importazione di prodotti made in Giudea e Samaria. Sembra che solo altri 11 paesi prenderanno misure concrete contro gli israeliani. Intanto la Slovenia ha vietato l’ingresso ai ministri delle Finanze e della Sicurezza Interna di Tel Aviv per le gravi violazioni dei diritti umani dei palestinesi. Francia, Germania, Uk e Canada minacciano sanzioni in assenza di una tregua umanitaria. Da ultimo si è aggiunta la Norvegia. Non c’è più però il famoso boicottaggio della Lega Araba, al suo posto si registrano manifestazioni filopalestinesi di giordani ad Amman. Difficile che la loro richiesta di annullare il Wadi Arab, trattato di pace israelo-giordano del ‘94 vada in porto. Pechino ha una posizione defilata. Nel 2024 ha promosso il terzo accordo unitario tra le 14 fazioni palestinesi ma vuole entrare nel business saudita(nel 2023 i cinesi agevolarono il riavvio diplomatico tra Iran e sauditi)  le cui scelte sono quindi determinanti.

C’è poi il cahier americano dei materiali (manipolazioni, non ascolto dell’intelligence, interviste a 110 funzionari di Israele, protocolli segreti di Hamas e documenti giudiziari) che scaricano su Bibi le colpe del 7 ottobre come non bastassero le accuse di corruzione e di golpe antigiudici. L’idea che la guerra di Netanyahu rafforzi Hamas fa il paio con l’accusa cospirazionista, diffusissima nel variegato fronte di sinistra filopalestinese, che Hamas sia una creazione di Israele. Si tira fuori la dichiarazione dell’ex ministro della Guerra israeliano Lieberman, di origini moldave, quello che ha fondato il partito destro laico Yisrael Beitenu (Israele casa nostra, 5% alle ultime elezioni) degli immigrati russi ebrei, il destrissimo che ammette i due Stati solo nell’ambito di un totale apartheid. Dice Lieberman, la guerra a Gaza ci ha trasformato in emarginati nel mondo. Il suo partito però è fuori dal governo dalle sue dimissioni del 2018, quando è divenuto acerrimo rivale di Bibi Netanyahu. Si dice che anche l’America di Trump partecipi dell’isolamento ebraico, dalle trattative dirette con l’Iran, con gli Houthi dello Yemen, con Hamas a Doha dello stesso presidente Usa, per liberare l’ultimo ostaggio americano Alexander al via libera al nucleare saudita senza normalizzazione con Israele all’uscita Usa dal Consiglio dei Diritti Umani Onu ed al disconoscimento della Corte Penale Internazionale che hanno reso le organizzazioni internazionali il sito monocorde della voce antiebraica.

Fatto è che dal ’56 e da Entebbe Israele si è abituata a non ascoltare l’opinione internazionale che raramente anche nelle situazioni più tremende le offre una mano concreta. A Gerusalemme l’opinione internazionale coincide con le centinaia di condanne ricevute dall’assemblea Onu. Così le fonti israeliane ammettono che i propri media non coprono in modo significativo le critiche che Israele riceve dal resto del mondo e il crescente isolamento. Su un’ora di telegiornale, quaranta minuti sono dedicati ai caduti. Non vediamo ciò che vede il mondo. Non vediamo molta della sofferenza palestinese. E questo vale per i media di sinistra, non solo per quelli di destra. Anche le azioni militari ingiustificabili come gli ultimi bombardamenti sulla capitale della Siria vengono ben comprese solo dagli israeliani che, pensano, si tratta di difendere i drusi, alleati storici fin dall’inizio degli ebrei. Il mondo può tuonare ma gli ebrei non vi badano. Israele guarda a Gaza e Cisgiordania come mere questioni interne e non sente la pressione del vicino mondo arabo che è l’unica che prenderebbe in considerazione, dato che i governi arabi, come la Turchia che teme l’aggressività di Gerusalemme, apprezzano chi vince le guerre (nessun Paese arabo farà pace con uno Stato percepito debole). Per questo disperatamente gli Houthi dello Yemen si appellano all’indignazione araba per Gaza. Invece è miracolosa nel bel mezzo della guerra la stabilità degli accordi originali di Abramo del 2020 tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco come la trattativa per l’allargamento ad Arabia saudita e Siria di al-Sharaa. La litania dei due popoli, due stati non ha più cittadinanza in Medio Oriente ed assomiglia alle ultime dichiarazioni della Società delle Nazioni prima dell’ultimo grande conflitto europeo.

Le vittorie militari hanno reso Tel Aviv la potenza dominante mediorientale, un potere che ha eliminato gli alleati guerriglieri dell’Iran, tolto il controllo di Gaza a Hamas sostituito da saccheggiatori, immobilizzata Teheran, dominato Libano e Siria, ottenuto l’amicizia russa che gli occidentali non sanno spiegare (Putin è contrario al nucleare degli ayatollah, pure membri delle intese alla Astana)soprattutto costretto la Casa Bianca a seguirla. Una battuta circolante a Tel Aviv recita lo stato ebraico ha pareggiato con Hamas nei regolamentari, li ha sconfitti ai rigori, ha battuto l’Iran in semifinale e ora affronterà la Turchia in finale. Nel 2025 si è rovesciato lo schema del ’56 quando il presidente Usa Ike fermò Israele sul Canale di Suez. Trump ora ha seguito Gerusalemme sull’attacco all’Iran. Ovvio che il maggiore alleato indissolubile cerchi di smarcarsi in autonomia. In Israele lucidamente pensano che non si possa avere insieme la sconfitta di Hamas e la libertà degli ultimi venti ostaggi presumibilmente ancora vivi, tutti israeliani oltre ai cadaveri di altri 18. Non viene nascosto che la tolleranza dei missili dell’esercito sia calcolata in cento morti civili innocenti per ogni leader dell’organizzazione sunnita ucciso e di 20 per ogni militante. Il tutto è associato alle demolizioni pianificate di Gaza dove da aprile sono stati danneggiati più di 160 mila edifici e reso inabitabile il 70% dell’edificato (80% a Rafah, al confine con il Sinai) al costo di $1.500 per casa abbattuta. Secondo l’Università Ebraica di Gerusalemme, la Bbc e le stesse dichiarazioni del governo israeliano, Gaza oggi già non esisterebbe più. Resta quella sotterranea dove aspetta l’Hamas dormiente. L’ennesimo fallimento dei colloqui di Doha è scontato. Hamas vuole tempo per una resistenza passiva a oltranza dalla quale risorgere dopo il ritiro dei militari nemici e aspetta la Conferenza Onu di New York del 28 e 29 luglio presieduta da Francia ed Arabia Saudita, sulla soluzione dei due Stati ebreo e palestinese (conferenza che pure prevede il disarmo di Hamas). Israele vuole tempo per l’esilio all’estero di Hamas come replica dell’allontanamento dell’Olp di Arafat degli anni ’80. Il momento buono potrebbe essere la lunga pausa estiva parlamentare a Knesset chiusa dal 27 luglio a metà ottobre.

Nel giorno dell’Indipendenza, lo Yom Ha’atzmaut, 1° maggio 2025, Israele ha compiuto 77 anni con una popolazione di più di 10 milioni di abitanti (nel 2048 previsti 15, nel 1948 erano 806mila). Quasi 8 milioni sono ebrei (77,6% del totale). Malgrado la guerra e 56mila espatri, le nuove nascite hanno portato in un anno ad un aumento della popolazione dell’1,4%, superiore a quella mondiale, dello 0,9%, dei paesi Ocse dello 0,5%, ed europea dello 0,2%. Un terzo della popolazione ha meno di 20 anni e l’80% degli ebrei è nato nel paese. Gli arabi in Israele sono più di 2 milioni (21%) dai 156mila del 1949 e crescono ad un ritmo appena superiore a quello ebraico (a Gerusalemme 375mila palestinesi su un milione di abitanti, il 39%). In entrambi i ceppi etnici le donne hanno in media tre figli ma Gaza ne hanno cinque. Il portavoce di Hamas Zuhridal Qatar ha evidenziato che durante la guerra nella Striscia sono nati 50mila bambini. Al posto di ogni cadavere le nostre donne daranno alla luce molti più martiri (indignazione tra i gazawi, Siamo solo carburante per le loro guerre). Governo e popolo israeliani sono convinti che il ritiro da Gaza, a cose non definite, vi riporterebbe in cima Hamas che ucciderebbe migliaia di ebrei in futuro. Anche Cisgiordania, il restante mondo arabo, il mondo musulmano d’Europa ruggirebbe e tornerebbe forte e nemico. La tessitura degli Accordi di Abramo verrebbe disfatta. Sono più informati gli israeliani che gli europei sul rapporto dei servizi francesi sullo Stato musulmano nello Stato creato oltralpe dai Fratelli musulmani.

Chiaramente Israele non è unita. Il governo andrà avanti nella pausa estiva anche senza i due partiti destri religiosi dimissionari che difendono l’esenzione degli studenti della Torah dalla leva. L’esercito invece non vuole alcuna esenzione, è esausto dopo due anni di guerra soprattutto nella prospettiva di dover costringere tutti i gazawi ad ammassarsi nell’area già popolata al valico di Rafah con l’Egitto. L’esercito potrebbe costituire l’unica opposizione al governo più destro della storia d’Israele. Per la prima volta un capo di Stato maggiore ha denunciato la pulizia etnica palestinese. Che è poi il piano concordato a distanza e in presenza tra Washington e Tel Aviv, tra Bibi e Trump, il segretario di Stato Rubio ed il ministro israeliano degli Affari Strategici Dermer, mentre e dopo la guerra contro l’Iran. L’idea è di affidare il governo dei palestinesi, in un territorio limitato, la zona umanitaria, il 25% della Striscia, a quattro Paesi arabi tra cui l’Egitto, storico mediatore, e gli Emirati Arabi Uniti, alleato di Israele, senza Olp e senza Hamas che verrebbe costretta all’esilio all’estero. Non è l’opinione internazionale che può fermare questo piano, neanche la conferenza dell’Onu; probabilmente lo può fare solo lo stesso esercito israeliano. Il dato però ben illustra lo stato di determinazione isterica cui è giunta Israele a forza di dibattiti in punta di forchetta storici e giurisprudenziali. Al di là dei torti e ragioni, per uscire dalla repressione tremenda israeliana, ed entrare in uno stato di normalità, bisogna togliere qualunque ossigeno alle forze del terrorismo. 

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