La facciata del Duomo di Milano è ricca di statue le più diverse e multiformi. Tra di esse, spicca quella di un piccolo draghetto, situato a destra del portone principale, in basso, aggrovigliato tra i fregi floreali. La statua non è grande, tanto che più che a un drago, si è pensato ad un tenero cucciolo di drago.
Il suo nome è Tarantasio, una specie di dinosauro in miniatura, una creatura mitologica, ma che cela molta storia.
La leggenda vuole, infatti, che nel 1200, un nobiluomo milanese, uccidesse, un drago, Tarantasio appunto, che dimorava nel lago o mare acquitrinoso e paludoso di Gerundo, di origine alluvionale, tra i fiumi Adda e Serio, nella zona di Lodi e che oggi non esiste più.
In questo luogo inospitale e malsano, abitava una specie di parente nostrano del più famoso mostro di Lochness, che si dice, mangiava le persone, soprattutto i bambini, aveva un alito mortifero, che uccideva le persone e distruggeva le imbarcazioni.
La nomea del fiato pestifero si poteva spiegare a causa delle esalazioni del lago maleodorante, dovute all’acido solfidrico ed altre miscele solforate che uscivano dalle acque mischiate a metano.
Alcune fonti, invece, riferiscono che il drago sarebbe nato dal corpo putrefatto di Ezzelino III da Romano (1194 – 1259) spietato condottiero e politico, tanto che Dante lo collocò all’Inferno – Canto XII, talmente sanguinario che venne definito il figlio del demonio e che perì in quelle terre.
Per tornare al nobiluomo milanese che pare riuscisse ad avere la meglio sul drago, sembra che altri non fosse che Uberto Visconti, capostipite della stirpe dei Visconti.
Il quale, dopo questo cimento, leggenda vuole che assumesse il biscione a tre spire nell’atto di mangiare un bambino come suo stemma araldico, il serpente/drago simbolo di immortalità.
Contemporaneamente alla morte del drago, il lago fu prosciugato, ma fonti storiche attestano che la bonifica fu invece opera dei monaci olivetani.
Pare che un osso del drago Tarantasio si sia conservato fino ad oggi, nella chiesa di San Bassiano a Pizzighettone, proveniente dall’ex Chiesa di San Cristoforo in Lodi, ma studi scientifici successivi hanno dimostrato che si tratta di un osso, più propriamente frammenti di costola, di balena risalenti a 5 milioni di anni fa.
E che il nome Tarantasio derivi dalla località Taranta, una frazione, nei pressi di Cassano d’Adda, o meglio non si sa chi abbia dato il nome all’altro, se la località o il drago.
Fatto sta che esiste tuttora una località denominata Stagno Lombardo e un affresco raffigurante la battaglia tra il nobiluomo e il drago è presente sulla Cascina Taranta del luogo edificata nel 1539.
Tanto che alcuni toponimi come “cà di biss” o “via de la bissa” lo ricordano.
Anche se spesso l’affresco è scambiato per il più popolare San Giorgio che uccide il drago. (Foto allegata)
La leggenda vuole che la tomba del drago si trovi sull’isolotto Achilli, ad oggi luogo del Fai, alla destra del Ponte Adda a Lodi.
Una raffigurazione è presente anche sopra una finestra della facciata della Chiesa di San Marco a Milano.
Tarantasio non è solo diventato lo stemma dei Visconti, bensì ha ispirato nell’epoca contemporanea molti altri loghi, dal Biscione di Fininvest che ha sostituito il bambino in bocca al drago con un fiore stilizzato,
E, a causa delle esalazioni di metano nella zona, deriva da Tarantasio anche il marchio dell’Eni e Agip di proprietà Eni, in particolare della benzina Supercortemaggiore (anni 50 e 60), con un cane a sei zampe e la testa rivolta all’indietro che esala dalla bocca una lingua di fuoco rossa creato dallo scultore Luigi Broggini nel 1952.
Altri storici affermano che il cane a sei zampe fosse in realtà un’imposizione fascista della lupa capitolina dove poi i due gemelli vennero trasformati in zampe divenendone sei.
E un’altra diceria vorrebbe che lo stemma dei Visconti sia dovuto alla vittoria su un’esercito nemico che aveva come stemma il Biscione per cui i Visconti ne presero possesso, raffigurandolo mentre ingoiava il nemico.
Un ulteriore mito racconta invece che in origine i Visconti fossero signori di Anguaria e in latino anguis significa serpente, elevato poi per nobiltà a drago che sputa il figlio rapito di Bonifacio di Pavia, marito di una Visconti, dopo essere stato sconfitto.
Altre credenze lo fanno risalire al famoso Nehushtan, il serpente nero aggrovigliato, presente su una colonna dentro la Basilica di Sant’Ambrogio.
Ma bisogna dire che è anche lo stemma dell’Alfa Romeo dal 1910 e dell’Inter oltre ai colori blu e nero.
Non solo. Secondo la leggenda, sorella del drago Tarantasio è la Tarasque francese, Tarasca in italiano, un mostro che similmente imperversava per la Provenza, distruggendo qualsiasi cosa si trovasse di fronte, uccidendo e devastando, (buon sangue non mente), finché Santa Marta non la sconfisse, pregando. Discendete dalla celtica Tarasca de Noves, da lei deriva il nome della città di Tarascona.
Tante leggende e tante suggestioni vere o presunte che siano, che non si immaginerebbero mai dietro la “semplice” statua di un draghetto anche grazioso e innoquo sulla facciata del Duomo.
Eleonora Prina
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