Sommo apice di inglesorum, il Whistleblowing risulta ai più un mistero. La traduzione più azzeccata sarebbe Spione. Il termine significa fischiatore. Trattasi del lavoratore, imbattutosi in illeciti o frodi compiute nella sua azienda, che passi alla denuncia (per iscritto, per posta, al telefono, su apposita piattaforma online, email) a tutela di consumatori, clienti e datori. Questo lavoratore delatore offrirebbe così un profilo doppiamente civico. L’istituto compare nella norma dal 2017, legge n. 179. Non è chiaro perché sia prevista una particolare difesa del pubblico dipendente segnalatore all’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), non riguardante il lavoratore privato. Lo spione in tutti i casi non dovrebbe temere licenziamento, demansionamento, sanzioni, trasferimenti o altre negatività.
A riguardo è intervenuta la direttiva europea 1937 del 2019 introducendo mezzi di segnalazione anonimi per la denuncia di riciclaggio, frode fiscale, sicurezza di prodotti, reati negli appalti pubblici, protezione ambientale, della salute e dei consumatori. In realtà il lavoratore delatore, pur protetto dal licenziamento è passibile di molte altre ritorsioni (demansionamento, trasferimento, mancata promozione, mobbing). Nella miriade di norme anticorruttive, distribuite in tutto l’ordinamento, incluse le recenti sul reporting interno, non ci sono protezioni dalle ritorsioni, al massimo regolamenti qui e là. In compenso, la conoscenza, non denunciata, di reati da parte dei dipendenti pubblici è materia penale. Come le ciliegie, una norma ne gemma e tira un’altra. Si capisce che le segnalazioni siano poche poiché spesso non c’è anonimato, opzione preferita, che tenga. L’invocata comunicazione aperta è suicida. Le ipotizzate campagne promozionale per la trasparenza sono pannicelli caldi. Fanno bene però al mercato captive, in questo caso pubblicitario.
I fan degli spioni tristemente verificano la realtà di scarse diffusione e valorizzazione del whistleblowing. Il tema è poco considerato nel settore pubblico ed in quello privato. Gli italiani in genere non denunciano i comportamenti non conformi, tanto più nella propria azienda. Spettegolano tanto ma, nella cultura del silenzio, spiano poco. Le fischiate sono state 2,2 al giorno nelle grandissime aziende, 2 alla settimana nelle altre imprese. Nemmeno 900 in tutto l’anno, 4500 nel lustro, su un insieme di 3 milioni di imprese e più di venti milioni di dipendenti fissi. Scarse le sentenze sull’argomento. In cambio ben il 78% delle aziende italiane ha investito in una piattaforma informatica interna dedicata di segnalazione. Solo dieci grandi società private dispongono della procedura corretta mentre le piccole aziende non dispongono di nessun tipo di reportistica interna. Gli enti pubblici hanno procedure difformi e non comunicanti.
I denuncianti preferiscono usare l’email, unico mezzo presente in molte aziende. Il 14% delle segnalazioni anonime arrivano da piccole aziende. Il 21% delle aziende tra mille e cinquemila dipendenti non ammette segnalazioni anonime. La denuncia non va al superiore gerarchico ma alla nuova figura del Responsabile della prevenzione delle corruzione e della trasparenza in una protocollazione riservata. Il Dl. 231/2001 istituisce il c.d. Organo di vigilanza, struttura interna per ricevere segnalazioni su determinati reati e redigere reportistica ad hoc. La tempistica europea di istruttoria e chiusura è di 90 giorni ma ci riescono solo le grandi aziende mentre il 40% delle imprese non riesce nemmeno a stimare i tempi di istruttoria, gestione e chiusura.
I cultori della burocrazia digitale si sposano qui con gli accaniti della tribunalizzatone della società. Il giro di carte è impressionante; Min Pubblica Amministrazione riceve le segnalazioni e le inoltra all’Ufficio Ispettivo del Dipartimento per la Funzione Pubblica interne; poi controlla il giro mentre anche la Corte dei conti riceve e inoltra. In tutti questi Ministeri non c’è un regolamento interno di whistleblowing. Il whistleblower sarà pure un eroe ma in uno dei pochi casi conclamati il ferroviere denunciante è stato licenziato passando dai tribunali del lavoro. I media dopo la prima notizia l’hanno presa in noia. Dopo 40 anni di lotta alla corruzione, le norme sembrano non bastare mai. Cultori ed accaniti sognano di allargare la protezione ad ogni tipo di ritorsione con i meccanismi di protezione dei testimoni di giustizia. Il rischio è però di offrire un lavoro retribuito allo spione e trovarsi un nuovo reddito di delazione di massa.

Studi tra Bologna, Firenze e Mosca. Già attore negli ’80, giornalista dal 1990, blogger dal 2005. Consulente UE dal 1997. Sindacalista della comunicazione, già membro della commissione sociale Ces e del tavolo Cultura Digitale dell’Agid. Creatore della newsletter Contratt@innovazione dal 2010. Direttore di varie testate cartacee e on line politiche e sindacali. Ha scritto Former Russians (in russo), Letture Nansen di San Pietroburgo 2008, Dal telelavoro al Lavoro mobile, Uil 2011, Digital RenzAkt, Leolibri 2016, Renzaurazione 2018, Smartati, Goware 2020,Covid e angoscia, Solfanelli 2021.
Preg.mo Dr. Mele,
“Spione, delatore, potenziale percettore di reddito di delazione.” Mi dispiace doverglielo dire, ma gli argomenti e le “spiegazioni” che Lei ha offerto con il Suo articolo, oltre ad offendere le vite devastate di decine e decine di persone oneste che hanno deciso di non voltarsi e far finta di niente davanti ad illeciti di varia natura, offendono certamente la Sua esperienza e conoscenza, oltre ad essere assolutamente fuorvianti.
Del resto non si può descrivere la Luna se non per l’aspetto che mostra dalla Terra.
Ossequi