“Chi ha responsabilità deve guardare lontano. La popolarità o l’interesse, il prestigio o il vantaggio personale sono guadagni troppo meschini e troppo improbabili per motivare un impegno quotidiano spesso logorante e poco confortato da risultati. Si deve affermare che la cura per il bene comune, oltre il proprio interesse o l’interesse del proprio partito, l’impegno che trova motivazione nell’inquietudine e nel realismo della speranza si chiamano ‘politica’”: così l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del ‘Discorso alla Città’, nella Basilica di Sant’Ambrogio, durante i Vespri per la solennità del santo patrono. “Voglio esprimere apprezzamento e incoraggiamento per tutti i cittadini che in questa politica si impegnano, per quelli che accettano di essere candidati nel servizio delle comunità locali – ha proseguito Delpini in un altro passaggio – L’elogio della democrazia rappresentativa chiede che ci sia un impegno condiviso per contestare e correggere la sfiducia che è presente in chi non vuole essere coinvolto, si chiude nel proprio punto di vista e non si interessa degli altri, pretende che siano soddisfatti i propri bisogni ma non si cura del bene dell’insieme”.
“La paura serpeggia nella città e nella nostra terra: è la paura di difficoltà reali che si devono affrontare e non si sa come; è la paura indotta dalle notizie organizzate per deprimere, per guadagnare consenso verso scelte d’emergenza, senza una visione lungimirante; è la paura dell’ignoto; è la paura del futuro. La paura induce a chiudersi in sé stessi, a costruire mura di protezione per arginare pericoli e nemici, ad accumulare e ad affannarsi per mettere al sicuro quello di cui potremmo aver bisogno, ‘non si sa mai’. Alle porte della paura bussa l’inquietudine con la sua provocazione: e gli altri?”: così l’arcivescovo Mario Delpini in un passaggio del ‘Discorso alla Città’, pronunciato nella Basilica di Sant’Ambrogio per la ricorrenza del santo patrono. Delpini ha parlato poi di una città “che corre, che riqualifica quartieri e palazzi, la città che fa spazio all’innovazione e all’eccellenza, che seduce i turisti e gli uomini d’affari, che demolisce le case popolari e costruisce appartamenti a prezzi inaccessibili” e dove, all’opposto, restano però aperte grandi questioni come quella abitativa e (“Dove troveranno casa le famiglie giovani, il futuro della città? Dove troveranno casa coloro che in città devono lavorare, studiare, invecchiare?” si chiede) e del lavoro e delle nuove povertà (“Come potranno vivere quegli onesti lavoratori che si ritrovano a fine mese una paga che non copre le spese che la vita urbana impone loro?”) Quindi, ha esortato l’arcivescovo “Elogio l’inquietudine perché pensieri, decisioni, interventi siano attenti alla complessità e là dove sembra produttivo e popolare essere sbrigativi e semplicisti, istintivi e presuntuosi, l’inquietudine suggerisca saggezza e disponibilità al confronto, studio approfondito e concertazione ampia, per quanto possibile”.
“Il linguaggio di Milano e di questa nostra terra è la fierezza di poter affrontare le sfide, è la generosità nell’accogliere e nel condividere, è la saggezza pensosa che di fronte alle domande cerca le risposte, è la franchezza nell’approvare e nel dissentire, è la compassione che non si accontenta di elemosine ma crea soluzioni, stimola a darsi da fare, inventa e mantiene istituzioni per farsi carico dei più fragili”: così l’arcivescovo Mario Delpini introducendo il tradizionale ‘Discorso alla Città’, nella Basilica di Sant’Ambrogio, durante i Vespri per la solennità del santo patrono. “E gli altri? Tra ferite aperte e gemiti inascoltati: forse un grido, forse un cantico”, è il titolo del Discorso di Delpini. “Con il passare degli anni trovo sempre più insopportabile il malumore. Trovo irragionevole il lamento. Trovo irrespirabile l’aria inquinata di frenesia e di aggressività, di suscettibilità e risentimento”, ha premesso l’arcivescovo che poi ha spiegato : “voglio fare l’elogio dell’inquietudine, voglio condividere l’aspetto promettente di un realismo che custodisce la speranza e che crede nella democrazia e nella vocazione della politica”. ‘Inquietudine’, ‘Realismo che custodisce la speranza e ‘politica’ sono infatti. le tre grandi questioni affrontate da Delpini nel suo Discorso.
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