Smart Stress

RomaPost Società

Appaiono necessarie ulteriori ricerche che misurino più precisamente cause e conseguenze del tecnostress dasw, studiando il fenomeno nei singoli momenti caratterizzanti il lavoro remoto, a partire per esempio dalle piattaforme, dall’ambiente ergonomico, dai modelli di comunicazione. Il metodo è il sondaggio on line su una platea significativa numericamente, suddivisa per indicatori generali e specifici. Importante verificare il percorso della platea, individuata ad hoc, che abbia cercato di porre rimedio al tecnostress con il Bonus psicologico.

Ricerche

Per diversi decenni si sono susseguite ricerche sul lavoro da remoto, man mano che le tecnologie digitali invadevano società ed economia. Le ricerche prima si erano poste l’obiettivo di chiarire quale era la consapevolezza del lavoro digitale del futuro; poi si erano concentrate sulle possibilità di un’effettiva diffusione, poi sulla produttività ed i vantaggi e svantaggi dei datori e dei lavoratori. Ferve sempre la discussione su cosa è e potrebbe essere lo smart working, anche ora che lo sw si è imposto in condizioni emergenziali. La ricerca sta però virando su una nuova fase, concentrata sui problemi di carattere sanitario, soprattutto mentale e comportamentale subiti dai telelavoratori. La consapevolezza della nuova emergenza è tale che è stato predisposto un bonus psicologico per gli smarters; il provvedimento, con un budget di 10 milioni di euro per il 2022 per spese di psicoterapia (presso specialisti privati regolarmente iscritti all’albo psicologi, psicoterapeuti), dedicate a 16mila beneficiari per 625 di media. Eppure, restano al momento generiche e non puntualizzate le dipendenze dallo stress specifico da sw. Su questa fase sono poco numerose le ricerche massive e approfondite.

4 fasi

Finora, le fasi della ricerca sono quelle della 1) consapevolezza del lavoro digitale 2) della possibile realistica diffusione, 3) della risultante produttività 4) dei vantaggi e svantaggi economici dei datori e dei lavoratori, 5) dello stress smart collegato o tecnostress. In queste fasi il lavoro remoto ha cambiato spesso nome in Italia. Lo studio Inail 2017 lo chiamava lavoro mobile basato sull’Ict, T/ICTM, poi è divenuto lavoro agile, smart working e lavoro ibrido. Gli studi esteri prediligono la denominazione di lavoro da casa, WFH. L’irrompere delle politiche di diversity management, fatte a prima vista per impedire ogni discriminazione ed esclusione, in realtà mitizzando un determinato topos di vittima, ha finito per sottovalutare i banali problemi della massa di anonimi e comuni cittadini e lavoratori alle prese, per esempio, con gli ostacoli alla tradizionale genitorialità.

Ricerca stress smart collegato o tecnostress

La teoria recita che il technostress sia una malattia moderna causata dall’incapacità di far fronte o trattare le informazioni e le nuove tecnologie di comunicazione in modo sano (Technostress. The Human Cost of the Computer Revolution ’84 di Brod e Labor and Monopoly Capital ‘74, Braverman), oppure uno stato psicologico negativo associato all’uso delle ICT che determina in ambito lavorativo ansia, affaticamento mentale, scetticismo e inefficienza (The dark side of technologies, technostressamong users of information and communication technologies 2012 di Salanova); il technooverload invece è il technostress per elevato carico di lavoro, cui è forzato l’utente ICT per lavorare più velocemente e più a lungo (a Model for Testing Technostress in the Online Education Environment: an Exploratory Study 2014, Booker). Secondo Salanova, le eccessive richieste poste ai lavoratori che utilizzano le ICT hanno effetti anche sulla salute fisica oltre che sulla psicologica. Braverman puntualizza che la perdita del controllo del proprio lavoro, nell’ambito di mansioni e competenze, ha ricadute negative sui lavoratori.

technoaddiction

L’uso assiduo e l’abuso (technoaddiction) degli strumenti digitali, in primis, di Internet sono legati a variabili psicosociali, come la vulnerabilità psicologica, lo stress quotidiano e il sostegno sociale. I sintomi sono quelli tipici delle dipendenze. L’esigenza infinita di usare la rete è di per sé una malattia sociale. Il lavoro oggi pretende che si usino Internet ed altri strumenti digitali. Gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori della tecnodipendenza deve essere esaminata distinguendo il technostress di origine dovuta all’uso continuo a livello personale da quella dovuta all’ambito lavorativo. In realtà per qualunque attività,  lungo tutte le 24 ore le persone usano sempre strumenti digitali hard e soft, che sono connaturati ormai alla vita quotidiana. A parte questo esiste il grande disagio dovuto al digital divide che impone al lavoratore non competente di informatica di dover usare comunque strumenti Ict che hanno cambiato natura e caratteristiche del lavoro.

Eurofound

Senza andare troppo indietro nel tempo, uno studio dell’Eurofound, oggi abbastanza datato, in quanto risalente al 2017, facente riferimento a quanto avvenuto dopo l’accordo sociale europeo sul telelavoro del 2002, evidenziava che la materia era di interesse diretto del 17% medio della forza lavoro europea contrattualizzata dipendente, nell’Unione a 28, con l’inclusione dell’Uk. Nei diversi paesi con grandi differenze si andava dal 2% al 4% di telelavoro effettivo, non continuo ma occasionale. L’Osservatorio del Politecnico di Milano nel2016per l’Italia calcolava il 7% di telelavoratori, flessibili nel luogo, nell’orario e negli strumenti di lavoro, 250mila lavoratori smart, numero in crescita nelle grandi imprese e stabile nelle PMI. Lo studio Incontra numerava il passaggio in meno di tre mesi seppur in forma atipica da 500 mila smart worker a oltre 4 milioni. Quattro anni dopo nel 2021 la Fondazione Studi dell’Ordine dei Consulenti contava i telelavoratori in quasi 8 milioni per il 2020. Per cause di emergenza dovute all’epidemia virale il fenomeno, nel frattempo, era divenuto di massa e continuativo, interessando a tempo pieno il 30% della forza lavoro dipendente.

Inail

Una prima valutazione dei rischi sanitari per l’impatto digitale sul lavoro viene redatta nello studio Inail, ICT e lavoro anch’esso datato, in quanto del 2017. Il rapporto resta generico tra cyberharassment at work, cyberstalking, cyberbullying e violazione della privacy, evidenziando però il problema della confusione tra attività lavorativa digitale e vita digitale, soprattutto social, che si ripresenterà anche più avanti. Lo studio si sofferma sui rischi più forti affrontati da manager e informatici e networkers, lavoratori ad alta mobilità e ad alta intensità; costoro rischiano orari più lunghi di lavoro intensificato e l’interferenza straniante della sovrapposizione tra lavoro retribuito e vita personale. Gli psicologi, nello studio Inail, identificavano il lavoro da remoto con i mali da superlavoro, anche prima della crisi epidemica che ha imposto la chiusura in casa. Come i giuslavoristi, interpretavano il termine di smart working  Consideravano che l’innovazione e la modernità avevano migliorato sicurezza e salute fisiche nell’ambito del lavoro industriale e manuale; e che al tempo stesso la smaterializzazione, l’incremento di velocità e l’estensione oltre la classica postazione del lavoro disadattavano il lavoratore con l’effetto collaterale del tecnostress, implicazione negativa del progresso. L’automazione del lavoro e l’eccessivo uso delle ICT comportano pressione elevata, isolamento e mancanza di controllo sul ritmo delle attività, quindi perdita di appartenenza, di identità, di potere, di significato su e del lavoro. I problemi di fondo restano la technocomplexity e la technouncertainty dovute alla complessità ed alla rapidità del cambiamento.

Cyber sociale

È invece fuorviante cercare in prima istanza sul luogo di lavoro i rischi dicyberharassment at work, cyberstalking, cyberbullyinge violazione della privacy. Questi sono reati onnipresenti in una società dove l’accentuata digitalizzazione personale massiva ha introdotto criminalità e aggressione anche nel mondo virtuale. strumenti virtuali; non sono precipuamente legati alle problematiche del lavoro  e devono essere affrontati e perseguiti con gli strumenti generali di protezione adottati per i cittadini. Secondo un primo vademecum, nell’ambito del lavoro digitale era necessario mantenere chiari e costanti, carico lavorativo, organizzazione e contesto lavorativo (Domanda); consapevolezza della posizione ricoperta (Ruolo) e promozione di un lavoro positivo possibile per il lavoratore (Relazioni);salvaguardia dell’autonomia dei lavoratori sullo svolgimento dell’attività (Controllo); incoraggiamento, supporto e risorse fornite dall’azienda, dai superiori e dai colleghi (Supporto del management e dei colleghi); trasparenza della comunicazione aziendale sui cambiamenti organizzativi (Cambiamento). Vengono consigliate le piattaforme social aziendali, alfabetizzazione digitale, informazione per ridurre lo stress da tecnologia nei processi lavorativi.

Eu-Tecno

Poi gli psicologi (Oltre lo stress da tecnologia e modernità: Eu-Tecno e Smart Working Le conseguenze dell’innovazione tecnologica, il disadattamento evolutivo e le caratteristiche dello smart working. L’approccio Eu-Tecno e i 4 pilastri relativi a responsabilità, gestione, organizzazione ed ergonomia 2017) hanno sottolineato l’importanza del problem solving per affrontare pragmaticamente il technostress. L’assunto ideologico fondato sulla lezione di Mc Luhan su tecnocentrismo ed alienazione, in una prospettiva di perenne critica all’inevitabile crisi del capitalismo veniva sostituito dalla prospettiva positiva dell’EuTecno, della tecnologia buona e del benessere organizzativo. Questa si fonda su responsabilità, gestione, organizzazione ed ergonomia del lavoro fino a certificarlo sotto i principi di qualità Iso, così da scongiurare i danni del tecnostress. La responsabilità è la regola giuridica-umanistica; la gestione riguarda l’inquadramento; l’organizzazione immette struttura sociale, persone, scopi e tecnologia in un dato ambiente; l’ergonomia è la due diligence scientifico-ingegneristico-medico-psicologica. In questa tecnologia migliore che massimizza i benefici e minimizza i rischi è impossibile però eliminare l’insoddisfazione finale, secondo il paradosso della felicità di Easterlin del ’74 (ogni miglioramento materiale conduce prima ad una massima gratificazione, poi alla massima insoddisfazione). Fermo restando che l’innovazione tecnologica nel contesto digitale è rapidissima, determinando cambiamenti tre-semestrali, è inevitabile consigliare supporto tecnico, formazione e soprattutto moderazione nelle richieste poste ai lavoratori, per evitare i disagi da programmazione sofferente, da tempi stretti, da conflitti interni ed esterni e dalla competitività illimitata. Anche il Position Paper sullo Smart Working, del Gruppo di lavoro Skills Crescita Impresa dell’Assinform evidenziava i rischi di alienazione, isolamento lavoratori, emarginazione, sovraccarico soprattutto delle lavoratrici e dei disabili a rischio inclusione.

Ricerca sullo stress

I restanti rapporti riguardano il periodo di massivo ricorso al lavoro remoto, quando ad aprile 2021gli smarters sono ancora 7,3 milioni. La teorizzazione lascia il posto alle valutazioni in corpore vivo. Qui gli studi americani, italiani, tedesco, giapponese, californiano, danese, inglese(tutti sondaggi on line) danno dei risultati coerenti, omogenei e del tutto simili.

I due sondaggi dello studio Harvard(Quali lavori vengono svolti a casa durante la crisi Covid-19? Indagini a livello aziendale 2020, condotti con 1770 partecipanti su 2.181 risposte valide sui 3.028 selezionati e 908 risposte su 1.060 selezionati della rete Pmi Alignablee su 70 economisti aziendali di 118 grandi imprese della rete NABE) mostrano la svolta drammatica nel mondo del lavoro, con il grande aumento brusco ed irregolare del lavoro a distanza, intervenuta durante la pandemia di COVID (Alfaro et al 2020, Bartik et al 2020, Balla-Elliot et al 2020, Beland et al 2020). La classificazione Dingel e Neiman 2020 evidenzia i settori più idonei per il lavoro a distanza con minore perdita di produttività e maggiore presenza di lavoratori più istruiti. La stabilizzazione del lavoro remoto (valida per il 16% dei lavoratori americani almeno 2 d\w; il 40% o più dei lavoratori in remoto continueranno a farlo dopo la crisi) determina cambiamenti sul mercato degli immobili commerciali aziendali e residenziali dei lavoratori. Dove è difficile lavorare in videoconferenza (lavoro in fabbrica e turismo) molte aziende non consentono qualsiasi lavoro a distanza; al tempo stesso la trasformazione induce più disoccupazione tra i meno qualificati del 40% delle grandi e piccole imprese.

Il report giapponese del 2019 (Lavorare da casa e cambiamenti nello stile di vita associati al rischio di depressione durante il Pandemia di COVID-19, condotto su 1.238 uomini, età media 51 e 2.086 donne età media 43,2) e quello tedesco 2020 (Move, Collaborate, and Iterate, Improving the Work from Home Experience) si concentrano sull’isolamento, stanzialità e allungamento del tempo di lavoro (che per le donne si trasforma in  maggior tempo dedicato all’assistenza all’infanzia) del telelavoratore per la riduzione del movimento fisico giornaliero (calcolato nella diminuzione di 900 passi nei giorni feriali) e delle interazioni spontanee tra colleghi. Il telelavoro si accompagna così all’insorgere di sintomi depressivi (più diffusi tra le donne rispetto agli uomini, 45,9% vs 32,4%).

Anche per la ricerca danese 2020 (Predictors of Well-being and Productivity amongSoftware Professionalsduring the COVID-19 Pandemic a longitudinal study) l’assenza di contatti sociali è causa di stress. La ricerca però sottolinea la diversificazione delle reazioni tra i lavoratori da remoto; la maggiore autonomia e la minore routine possono galvanizzare come deprimere il lavoratore.

Lo studio californiano 2020 (Impacts of Working from Home during COVID-19 Pandemic on Physical and MentalWellBeing of Office Workstation Users) descrive una situazione preoccupante di malessere mentale e fisico rispettivamente per quasi tre quarti e per due terzi dei lavoratori considerati. Negli Usa i problemi risalgono, oltre ai già considerati maggiore carico di lavoro, minore attività fisica e mancanza di comunicazione con i colleghi, anche a troppo cibo spazzatura, all’allestimento peggiore della postazione casalinga di lavoro, alle regole dovute all’epidemia ed alla presenza di piccoli minori a casa. Peggio per le donne e per i lavoratori a reddito più basso, meglio per chi ha adolescenti a casa.

Per lo studio americano dell’ADP Research Institute 2021 (Adp report, People at work 2021, a global workforce), stress e malessere fisico nascono nel superlavoro. Nei fatti connessione e reperibilità sono infiniti per chi lavora in remoto o da casa. Lo smart working confonde tempo lavorativo con quello privato, soprattutto perché strumenti, piattaforme, ambienti, linguaggi e device sono gli stessi, digitalmente indivisibili. Gli antichi supplementari e straordinari spariscono di fronte alla realtà, per il 7,3% dei lavoratori, dell’aumento sostanziale delle ore settimanali lavorate e non pagate, tra 6 e 10. (nell’Asia Pacifico si arriva alle 9,9 h). I dirigenti, in particolare, difendono lo status quo sacrificando la maggior parte del loro tempo. L’aumento del tempo di lavoro, minimo, quasi 2 h\d in più non pagate, non è dovuto del tutto al metodo smart working, ma anche all’insicurezza sulle garanzie di continuità del lavoro. Calano al 50% le possibilità del telelavoratore di ricevere una promozione e solo il 37,7% prende un premio di produzione. Si accettano nuove responsabilità o nuovi ruoli, o altri tipi di impatto (64% della forza lavoro globale), contratti di lavoro flessibili (67%), se non si perde il lavoro (28%).

superlavoro

Le stesse percentuali sui giovani sono 78% e 39%. In generale l’85% dei lavoratori ha preoccupazioni riguardo al lavoro. In barba alla retorica conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, per molti, gli obblighi di lavoro schiacciano le esigenze personali. Si lavora di più per mostrarsi indispensabili e per smentire il pregiudizio che il lavoro da casa sia una vacanza. La conseguenza è ansia e insonnia; sfinimento, calo dell’efficienza lavorativa, aumento del distacco mentale e cinismo (tipiche caratteristiche del burnout. Ne è colpita la metà dei telelavoratori. Secondo i ricercatori italiani di Bain & Company la generazione più danneggiata è quella under 35, per cui i giovani lavoratori italiani sarebbero i più stressati in Europa, terzi al mondo dopo giapponesi e i brasiliani. Una delle reazioni è l’improvviso aumento delle dimissioni. Lo Usa Bureau of LaborStatisticsha contato nuovi ca. 4 milioni a lasciare il lavoro. Il MinLavoro ha registrato nel 2021 due milioni (+33% su 2020) di abbandoni volontari da parte dei dipendenti; la Bankitalia nell’ottobre 2021 contava 770k dimissioni,+ 40mila su 2019, nel 90% dell’industria, più al Nord Italia che al Sud (complici Quota 100, sblocco licenziamenti e turnover). il 43,2% dei casi vale per i giovani. Dopo il Covid c’è l’aumento delle partite Iva e del 25% dei dimissionari volontari favorevoli allo sw. La cultura del superlavoro sta avendo pesanti ripercussioni sulla salute fisica e mentale dei lavoratori. In Europa, per le donne il pericolo più grande è lo stress lavorativo (17% contro 12% degli uomini). Invece per i maschi, la sfida più importante è la tutela della salute seguita da rispetto delle esigenze di lavoro e familiari, stress, produttività e carichi di lavoro.

Il rapporto 2021, capitolo Smart working, una rivoluzione nel lavoro degli italiani della Fondazione Studi dell’Ordine dei Consulenti ha trovato disturbi fisici legati all’inadeguatezza delle postazioni domestiche del 48,3% dei telelavoratori, tutti che si pagano sedie e scrivanie improvvisate. Il 39,6% lamenta l’inadeguatezza degli spazi e delle infrastrutture, come i collegamenti di rete. Per il 43% è peggiorata la conciliazione lavoro famiglia. Le donne hanno sofferto l’allungamento dei tempi di lavoro (57% contro il 50,5% degli uomini) e l’inadeguatezza degli spazi casalinghi (42,1% contro 37,9%), evidenziando un maggior rischio di disaffezione verso il lavoro (44,3% rispetto al 37% dei colleghi). Tra i lavoratori si sono diffuse ansia da prestazione, dilatazione dei tempi di lavoro, fatica, disturbi fisici legati a postazioni domestiche inadeguate, criticità sul clima aziendale e sulle relazioni di lavoro, fino alla disaffezione. In questo quadro di stress è saltata l’omogeneità esperienziale generazionale e demografica tra giovani e adulti, lavoratori genitori e no.

Spettro asiatico

Le non molte ricerche sul tecnostress danno un responso inoppugnabile. Il lavoro da remoto determina un disadattamento psicofisico che induce alla depressione. Oggettivamente l’abbattimento dei tempi di produzione e le opportunità offerte dal lavoro agile sono andati tutti a vantaggio del datore di lavoro, che richiede una sempre maggiore flessibilità di orario ai lavoratori, soffocando la loro dimensione personale. Qui c’è lo spettro asiatico, le 72 h\w o 300-380 h\m di lavoro cinesi, i 10 minuti che il 36% dei padri giapponesi può dedicare alla famiglia, i 174 morti del 2019da superlavoro, karoshi (Japan’s National Center for Child Health and Development e Japan Times).

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