Le rievocazioni storiche e la tirannia intellettuale dei compagni

Attualità

I fatti: a Cologno Monzese, in occasione della Festa della Liberazione, un gruppo di rievocazione storica decide di mostrare alla gente come si viveva in un campo della Wermacht. Essendo dei rievocatori avranno divise fedeli all’epoca, dei gagliardetti coerenti al periodo e mostreranno invece di raccontare: la cena attorno al fuoco, le storie dei soldati, le attività quotidiane dei soldati. Il Comune decide di patrocinare questa manifestazione che si terrà in una zona centrale del paese. Fine. Tutto questo è bastato a scatenare una reazione al limite dell’isteria di Anpi e sinistra. E vale la pena parlarne perché svela i meccanismi che hanno regolato in maniera ferrea la gestione della nostra storia Patria negli ultimi settant’anni.

Primo, rimozione. Siamo tutti d’accordo sul fatto che la Wermacht stava combattendo la guerra sbagliata per ragioni criminali. Questo non toglie che non passasse l’intera giornata a commettere atti nefandi. Né toglie che non tutti i suoi membri fossero dei mostri. E non può, di pari passo, impedire che qualcuno si domandi come vivessero la quotidianità questi soldati. Farlo non rende chi si interroga un complice, chi lo rievoca un essere ignobile e chi vorrebbe impedirlo un fiero difensore della libertà. La storia ha due metà. Una viene insegnata nelle scuole, difesa dai media tradizionali, supportata dalle istituzioni, sovvenzionata da centinaia di milioni di euro prelevati con la tassazione. L’altra riceve una rievocazione storica, che, peraltro, non difende il punto di vista dei soldati Tedeschi, si limita a mostrarne una giornata di 24 ore. E vorreste raccontarmi che quest’ultima iniziativa avrebbe il potere di scardinare il nostro intero assetto Costituzionale?

Secondo, egemonia culturale. L’unica cosa ad uscirne male è il monopolio della verità che per 70 anni una parte politica si è arrogata. E che ha puntualmente chiamato fascista chiunque, da Montanelli a De Felice, provasse a raccontare della vicenda, trattandone i protagonisti come esseri umani. Non come eroi. Bastava che non fossero i mostri che si mettevano in scena a favore di popolo il 25 Aprile e divenivi immediatamente loro sostenitore. Il risultato è stato creare dei nuovi miti ed eroi. Con l’effetto paradosso di riabilitare un intero periodo agli occhi di una generazione senza più punti di riferimento. Queste iniziative non stimolano il fascismo latente della nazione. Le reazioni isteriche ad esse lo fanno. Perché danno la netta impressione che i vincitori abbiano qualcosa di grave da nascondere.

Terzo, ed ultimo, il senso di colpa dei vincitori. Uccidere dei mostri non fa di te un mostro a tua volta. Uccidere degli esseri umani sì. Questa seconda affermazione è stata il cavallo di battaglia dei pacifisti per mezzo secolo ed è falsa. Ma dopo averla cavalcata così a lungo è difficile scrollarsela di dosso. Ecco perché non si può consentire l’umanizzazione della Wermacht. Questo fa saltare il compromesso ideologico della sinistra: i partigiani hanno ammazzato senza essere assassini perché dall’altra parte non c’erano esseri umani. Che è una colossale sciocchezza: i partigiani che si opponevano al nazismo hanno vinto, quindi sono innocenti. Inoltre i nazisti combattevano la guerra sbagliata, per i motivi più atroci. Quindi chi vi si opponeva, nell’uccidere i soldati, aveva una scusante in più. Che poco serve, di fronte alla grande motivazione: in guerra, signori, si spara. Si uccide e si viene uccisi. E nelle pause ci si raccontano storie attorno al fuoco. È così. E se lo nasconderete non altererete la realtà. Quel periodo, quei lunghi 70 anni di vergogna, sono finiti. Fatevene una ragione.

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