Saturnino Gerundio era il mio fratellino più piccolo. Sul letto di notte e sui libri mentre facevo i compiti.
Era il 1954, avevo solo 6 anni, ed un giorno ho visto, sul tetto di una casa adiacente al mio terrazzo, un bellissimo gattino grigio, col musetto e le zampine bianche, che mi guardava con degli occhi dolcissimi, fissandomi, immobile, senza distogliere lo sguardo. L’ho chiamato, come di solito si chiama un gatto, facendo schioccare le labbra a mo’ di “bacetto”, e subito il micino venne a strusciarsi sulle mie gambe, facendo le fusa. Siamo stati un po’ insieme e poi ognuno è tornato alla propria abitazione, con la certezza almeno da parte mia che non sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo incontrati. E così è stato. Nei giorni seguenti il mio piccolo amico si ripresentò puntualmente, poi sempre più a lungo, fermandosi a volte anche a dormire sul mio letto. Un giorno, però, una persona venne a reclamare la proprietà del gatto, avendone notato e assenze sempre più prolungate. Così se lo prese e se lo riportò a casa, con la promessa di farmelo vedere tutte le volte che lo avessi desiderato. Ma io non mi accontentavo di vederlo ogni tanto, mi mancava da morire la sua presenza, così tutti i giorni, dopo la scuola, andavo a suonare alla porta del vicino per fare un saluto al mio piccolo amico il quale, appena mi vedeva, mi correva incontro “fuseggìando” a più non posso.

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Passò un po’ di tempo, fino a quando il “padrone” del gatto, un bel giorno, probabilmente stanco di avermi sempre tra i piedi ma forse anche perché aveva capito che tra me e il gattino c’era un legame “particolare”, mi disse che potevo prenderlo e portarlo con me. Se mi state leggendo, vi giuro che quel giorno fu uno dei più bei giorni della mia vita. Ricordo che l’ex-proprietario mi disse che il micio aveva circa due anni e che dovevo trattarlo bene altrimenti se lo sarebbe ripreso. Ora si trattava di dargli un nome. Sembra che io sia stato sempre “particolare” nella scelta dei nomi (mi diceva mio padre che al primo gattino capitato in casa quando avevo appena 4 anni e che morì sotto una macchina il giorno di Carnevale ed io non volli più mascherarmi per il gran dolore misi il nome di Napi Sepi), non ricordo il perché ma lo chiamai Saturnino Gerundio. Per me era come un fratellino più piccolo, eravamo inseparabili, di giorno, di notte, sopra i libri mentre facevo i compiti, sulle ginocchia mentre mangiavo. A 13 anni anni una macchina straniera (che poi fuggì) mi investi fratturandomi un femore. Era estate, una di quelle molto calde. A quei tempi ti gessavano quasi fino al collo, e tra il caldo ed il prurito non c’era da stare allegri. Saturnino Gerundio stette accanto a me, che ero costretto a letto, per quasi due mesi, senza mai lasciarmi, se non per quel poco tempo necessario per “sgranchirsi” un po’, mangiare e fare i suoi bisognini. Passarono ancora molti anni, col mio piccolo “fratellino” sempre al mio fianco. Venne la maturità classica, l’iscrizione a Medicina e, non ancora laureato, mi sposai. Ebbi il primo figlio, Federico, e Saturnino Gerundio, sebbene molto “anziano” (e già operato per un tumore gengivale) partecipava a modo suo alla gioia della mia paternità andando a dormire nella culla di mio figlio: ho sempre avuto la netta impressione che vegliasse su di lui. Qualche mese dopo, purtroppo, la malattia si ripresentò, con ulcera secernente e così prendemmo la decisione di chiudere la porta della camera da letto per evitare che Gerundio andasse a dormire nella culla di Federico. Ricordo ancora con dolore quella notte in cui il mio piccolo grande amico grattò a lungo, ancora e ancora, alla porta, per entrare, ma.facemmo finta di non sentire. La mattina, quando andai a cercarlo, come sempre, mia madre, con gli occhi lucidi, mi disse che Saturnino Gerundio ci aveva lasciati: era morto, sul tappetino della sua camera: era il 27 novembre del 1972 (tra l’altro proprio il giorno del compleanno di mia madre). Era stato con me per 20 anni ed avrebbe lasciato un vuoto incolmabile (sebbene da allora ed a tutt’oggi i gatti siano sempre stati parte integrante della famiglia: attualmente ne possiedo sette e grazie ad un distributore esterno di croccantini gli “avventizi” non si contano più). Con mia moglie prendemmo il corpicino e dentro ad un panno lo componemmo all’interno di una robusta scatola di cartone. Andammo poi sul monte Subasio e presso le Carceri di San Francesco lo seppellimmo sotto un albero secolare, lasciando un piccolo mazzetto di fiori sul posto della sepoltura (cosa che avrei dovuto evitare visto ciò che in seguito avvenne), La casa, sebbene rallegrata dalla presenza di Federico, mi sembrava spesso vuota, ma la vita si sa continua, e dovevo studiare e dare gli ultimi esami. Poi, alcuni giorni dopo, Saturnino Gerundio mi venne a far visita in sogno: era immobile e mi guardava, niente di più in sogno si ripetè per altre due o tre notti, sempre lo stesso, ed io mi svegliavo ogni volta di soprassalto, sudato ed agitato. Decisi allora di raccontare tutto a mia moglie, pregandola di accompagnarmi sul luogo della sepoltura perchè Gerundio “mi chiamava”. Senza ulteriori indugi, il pomeriggio stesso ci recammo sul posto e trovammo ciò che dentro di me avevo temuto fin dall’inizio: la buca scavata, la scatola aperta ed il corpo del mio gattino gettato in terra. La Guardia Forestale alla quale in seguito mi rivolsi, mi disse che un abituale frequentatore dei boschi, avendo notato dei fiori e dei segni di scavo, pensando forse ad una sepoltura improvvisata (un feto o chissacchè! ) li aveva allertati e loro avevano indagato in tal senso ma una volta individuato l’oggetto della sepoltura non avevano poi provveduto a ricomporre il tutto:i n fondo era solo un gatto! Non ricordo cosa dissi loro, ma dopo il mio “sfogo” mi fecero le loro scuse. Mia moglie ricompose il corpo (io non ne ebbi il coraggio) e lo riseppellimmo in modo tale che nessuno avrebbe più potuto disturbare il mio perduto amico. La notte stessa sognai Gerundio non come era gli ultimi tempi, vecchio e malato, ma come quando lo avevo visto per la prima volta, giovane e bello anche se per me è sempre stato bello, fino all’ultimo giorno della sua vita. Da allora non l’ho più sognato eppure mi sarebbe piaciuto rivederlo. Sono passati tanti anni, sono un pediatra alla soglia della pensione, sono nonno di tre meravigliosi nipoti che amano i gatti come me, e nel portafoglio porto ancora la foto di Gerundio. In tutti questi anni ho avuto tanti altri gatti non posso farne a meno ma lui, Saturnino Gerundio, rimarrà per sempre “un gatto della mia lontana infanzia” il mio fedele amico.
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