Milano 5 Febbraio – Ai lati della stanza immacolata ombreggiano strane sagome di fantasmi. Ti accorgi della loro reale consistenza solo al primo contatto visivo, ma non basta. Occorre infatti abbandonarsi al piacere del tatto per immaginare il percorso vitale di migliaia di fili di ferro cotto che si conclude nell’apoteosi di una scultura. La loro storia, scritta dall’estro creativo di Giovanna Bolognini, artista 60enne di Bergamo che modella le forme a suo piacere e fa del vuoto ciò che vuole, cammina su un sottilissimo equilibrio dialettico tra spazio e materia.
Ecco perché ‘Camminare sul sentiero del filo’, titolo suggestivo dell’esposizione in scena alla Galleria Cortina (via Mac Mahon 14) fino al 18 febbraio, è un po’ come orientarsi in un labirinto seguendo il filo di Arianna, ma senza la ricerca ossessiva di una didascalia. “Le mie opere si definiscono mentre lavoro – spiega Bolognini, che tra gli anni Ottanta e Novanta si è formata prima all’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo e poi di Brera, a Milano – e ognuna è unica perché sceglie il suo ritmo e significato nello spazio del quale si nutre”. Tutto parte dal vagito di un filo di ferro, riannodato e modellato mediante la saldatura a elettrodo, fino a ottenere la forma prescelta con un’insistenza manuale tipica dell’artigiano e attraverso un turbamento estatico. Ma è solo l’inizio: la materia, infatti, è composta della stessa consistenza dell’aria, fino a creare un “ossimoro di sculture leggere”, per usare le parole del curatore dell’esposizione, Stefano Cortina, che possono essere attraversate dallo sguardo e ‘resuscitate’ con un movimento dallo spettatore.
Tra le opere più significative, una quindicina in tutto, composte tra il 2009 e il 2016, risaltano ‘Lo specchio delle Brame’ (2009) – un groviglio di gambi accarezzato da alcune corolle circolari dal capo chino che simboleggiano la caducità del tempo, resa ancor più aspra dall’andamento incerto dei fusti del bozzetto – e la ‘Ninna nanna’(2011/16), una singolare culla adornata di anelli che invoca un movimento della mano per riprodurre la sua nenia metallica e ricorda un andirivieni ancestrale tipico del mondo contadino. L’ambiguità tra aria e materia è più che mai esemplificata ne ‘La danza’, (2010) concepita per fare dello spazio il suo supporto ideale, e nella serie di formelle ‘Frammenti di ricordi’ (2011), dove è lo spazio stesso a creare la dimensione della scultura e a conferire volume al vuoto. Senza contare gli anelli, elemento costante grazie al quale l’opera stessa ‘rivive’ con lo spettatore cantando il suo movimento al contatto con le mani. È il caso dei ‘Dentro lo spazio’ (2010) e della serie ‘Lo Spazio porta con sé tracce di memoria’ (2009), dove il suono rivela tracce tormentate di un passato lontano e scompagina il senso di leggerezza del quale il groviglio poetico del ferro è composto.
Ma la scultura si realizza anche nella (oltre che sulla) carta. La serie‘Semplesso’, di 14 fogli, è un’esplosione di vitalità formale attraverso la quale “il pastello a olio si allarga sul supporto con un abbandono gestuale quasi ludico – come scrive Marcella Cattaneo, che ha curato la mostra assieme a Cortina – facendo emergere sagome dal sapore surrealista”. Ed è lì, nella piena libertà da qualsiasi pretesa di cromia, che si scatena un nuovo conflitto tra pieni e vuoti e sta per nascere un’altra scultura.
Giuseppe Di Matteo (Il Giorno)
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