Non è che gli anziani sono noiosi, ripetitivi..è che sono solo dimenticati

Approfondimenti Società

Milano 12 Ottobre – Non è che gli anziani sono noiosi ripetitivi e attaccano bottone e a volte non si fanno i fatti propri e fanno valere ragioni inesistenti e hanno da ridire per le code negli uffici e sorridono poco e passano da un bar all’altro, quello per giocare a carte, quello per aspettare l’ora di pranzo e comprano il gratta e vinci e ci rimangono malissimo perché non vincono e – porca miseria così non si va avanti e la vita è ingiusta e mio nipote non trova lavoro e mia figlia ha appena divorziato, ma io glielo avevo detto che era un cretino, ma chi ci ascolta ormai che il lavoro non c’è più e io ero caporeparto e sapevo farmi rispettare, e avevo due palle così ..ed ero qualcuno nella società, anch’io davo qualcosa a quest’Italia che era in ginocchio perché il padrone ci faceva sentire importanti e  adesso vado ai giardinetti a prendere un po’ d’aria perché di vacanze non se ne parla coi soldi della pensione e, al massimo, vado a ballare al centro anziani dove sono quasi tutti rimbambiti, ma io sono ancora vivo e vegeto e mi dispiace che mi vedano vecchio e si ricordino di me quando si deve votare o mi chiedono un favore perché io guardo tutti i telegiornali e potrei parlare di politica, di società, di ingiustizia…è che gli anziani sono inascoltati, spesso dimenticati

In una società come quella attuale con il mito della giovinezza, della bellezza e della efficienza, l’anziano appare anacronistico, quasi un controsenso. Eppure l’anzianità è una fase della vita, una tappa importante. Eppure l’anziano per millenni presso tanti popoli,  ha rappresentato una risorsa per la società a cui apparteneva perché rappresentava l’esperienza, la conoscenza, la continuità e la trasmissione delle caratteristiche fondamentali della comunità in cui era nato e cresciuto. Oggi non ha un’identità, non esistono leggi e strutture che lo proteggano, valorizzino il suo ruolo. Oggi  può morire di solitudine, di abbandono, di povertà.  E’ davvero questa la società che vogliamo?

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