ITALIA, ED EUROPA, TRA IMMIGRAZIONE E SITUAZIONE IN LIBIA

Attualità

Milano 9 Maggio – Secondo l’Alto Commissariato per i rifugiati, 35.000 migranti sono arrivati ​​ nel Sud Europa dall’inizio dell’anno e 1.600 sono scomparsi.  La Commissione europea ha presentato lunedì 20 a Lussemburgo, ai ministri degli interni e degli affari esteri dei 28, dieci proposte di azione per lottare contro il traffico di migranti e di prevenire eventuali altre stragi.

Con questi punti, discussi al vertice straordinario dei leader europei  avvenuto nei giorni scorsi a Bruxelles, si è anche presentata una strategia comune per la migrazione e la gestione delle richieste di asilo.

Il piano dell’UE prevede il rafforzamento della capacità dell’agenzia di controllo delle frontiere Frontex, tra cui il raddoppio dei mezzi del suo funzionamento per la sorveglianza marittima affidata alla missione Triton. Inoltre si dovrà realmente decidere quali azioni intraprendere per contrastare i trafficanti di esseri umani e in merito a questa “missione” si è già espresso il capo della diplomazia francese Laurent Fabius che ha proposto un modello operativo similare alla missione navale Atlanta schierata a largo della Somalia per la lotta alla pirateria, ossia cattura e distruzione immediata dei natanti utilizzati dai trafficanti ma, per modellare la missione nel Mediterraneo con le regole della missione Atlanta servirà il via libera dell’O.N.U. aggiunge il capo della diplomazia europea, Federica Mogherini.

Ad ogni modo i punti che verranno presentati al summit europeo sono stati i seguenti: rafforzamento  delle operazioni di controllo e di salvataggio Triton e Poseidon attuate da Frontex,  aumentando le loro risorse finanziarie e materiali. Il loro campo di applicazione, attualmente limitata alle acque territoriali dei paesi dell’Unione, dovrebbe essere aumentato;  confisca e distruzione dei natanti usati per il trasporto dei migranti, a immagine dell’operazione Atalanta contro la pirateria al largo della Somalia; maggiore cooperazione tra le organizzazioni Europol, Frontex, EASO e Eurojust per raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti; distribuzione  di squadre dell’Ufficio europeo di sostegno per i richiedenti asilo (EASO) in Italia e in Grecia per migliorare la gestione delle domande di asilo; attuazione del fingerprinting sistematica di tutti i migranti per arrivare nel territorio degli Stati membri; rassegna di opzioni per una distribuzione più equa dei rifugiati tra gli Stati membri dell’Unione europea; attuare un programma di dislocazione nei paesi dell’UE di persone a cui è stato concesso lo status di rifugiato dall’UNHCR. Gli Stati membri sono invitati a partecipare al programma su base volontaria.

Andiamo avanti: attuazione di azioni con i paesi vicini della Libia per bloccare gli  itinerari utilizzati dai migranti. Il Niger è un paese di transito e la presenza europea sarà rafforzato. Infine, con l’ultimo punto, si dovrà decidere  sull’invio di funzionari di collegamento incaricati dell’immigrazione dalle delegazioni dell’UE in un certo numero di paesi terzi. Essi avranno il compito di raccogliere informazioni sui flussi migratori.

Buona parte dei punti programmatici presentati a Bruxelles potrebbero essere  attuati se nel paese da cui parte la maggioranza di clandestini fosse stabile, con un governo, un corpo di polizia e delle regolari forze armate. Il punto è che, in Libia, in questo momento, non vi è una situazione di disordine che i media occidentali raccontano: in Libia c’è la guerra.

Le opzioni semantiche dell’UE e dei suoi portavoce, dovute a ragioni di stato o a linee editoriali non sicuramente indipendenti, stanno raccontando la situazione libica in modo molto diverso da quello che è nella realtà, ossia una contrapposizione politica e militare tra due grandi coalizioni: la prima, autodefinitasi “laica” e “riformista”, formata da uomini d’affari e da ex dirigenti del vecchio regime ch gravitano intorno al movimento riformista fondato nel 2005 da Saif al Islam, secondogenito del defunto Colonnello e la seconda coalizione, Alba della Libia, composta invece da gruppi politici teocratici, vicini e indottrinati dal movimento fondamentalista islamico internazionale della Fratellanza Musulmana, che “lotta” per “regalare” alla Libia una costituzione che abbia come fondamento la Sharia.

Questa contrapposizione ha diviso la Libia in due parti ben distinte e separate: la Tripolitania con capitale Tripoli in cui ha sede il Congresso Nazionale Generale, a forte maggioranza islamica, e la seconda, la Cirenaica con sede governativa presso Tobruk.

L’area meridionale, il Fezzan, è invece una regione prevalentemente desertica le cui popolazioni, divise in clan e tribù di etnia tubo e tuareg, giocano un ruolo più locale che nazionale. Mentre i primi hanno optato per il fronte laico, i secondi, per pura reazione politica, viste le rivalità storiche, hanno scelto di allearsi con la coalizione islamica, come pure hanno fatto le popolazioni berbere di etnia amazig del Jebel Nafusa, ad ovest di Tripoli.

Nel Maggio 2014, il generale Haftar, vicino alla componente laica, ha lanciato un’operazione militare che ha permesso al legittimo governo di Tobruk di riconquistare alcune città in mano agli islamisti: Bengasi e Derna. Al momento gli eserciti degli opposti schieramenti si contendono aspramente le città costiere di Sirte, Raf Lanuf Sidra e Ajdabiya.

Occupate dal 2011 dalle milizie islamiche di Ansar al Sharia e dalle tribù arabe di Misurata che hanno ripiegato verso Sirte, Bengasi e Derna, sono state in parte nuovamente occupate dalle “truppe speciali” dei Fratelli Musulmani alleati di Alba della Libia: l’ISIS.

L’entrata nel conflitto di questo nuovo attore, potente e militarmente ben addestrato e armato (soprattutto dal Qatar e dalla Turchia) ha fatto si che gli scontri si riaccendessero con maggior violenza, costringendo Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti ad entrare, seppur marginalmente, nel conflitto a fianco del generale Haftar. Inoltre, quando si dice che le disgrazie non vengono mai sole, gli uomini della formazione terroristica islamica nigeriana di Boko Haram stanno giungendo in Libia attraversando al linea di confine tra Ciad e Niger con l’intento di unirsi alle forze militari di Alba della Libia, costringendo l’Algeria e la Tunisia ad ammassare truppe al confine libico, pronte ad entrare in azione qualora la situazione lo richiedesse.

Infine, sulle coste tripolitane, sono ammassate oltre un milione di persone pronte a salpare per l’Italia e l’Europa.

Ora, viste le prerogative, visto che i “profughi” sono ammassati nell’area a noi maggiormente ostile, visto che in Libia sta infuriando una guerra fratricida, considerato che i miliziani dei più pericolosi gruppi terroristici islamici stanno confluente nel paese libico da sud e da est nell’area che interesserà una presunta missione di terra in Libia e considerato che solo l’ONU potrà eventualmente decidere se si potrà o meno dare il via ad un’azione militare, la domanda sorge spontanea: come farà l’Europa, e l’Italia in primis, ad arginare o bloccare i flussi migratori dal luogo di partenza?

La risposta potrebbe essere molto semplice: nella realtà non ci sarà alcun impegno in materia, continueremo ad assistere a sbarchi sulle nostre coste ed a morti nel Mediterraneo, con buona pace del non eletto governo italiano, ormai avvezzo alla menzogna, e dei suoi cittadini sudditi dormienti.