Nell’editoriale pubblicato da MilanoToday (“Possiamo fermarci alle cose di buon senso, senza parlare di pena di morte”), l’autore invita a prendere atto che episodi come l’accoltellamento di una donna in Piazza Gae Aulenti “sono inevitabili”, che “il rischio zero non esiste”, e che “nelle democrazie liberali le pene sono proporzionate”. Tutto molto rassicurante — se non fosse che ogni riga di questo buon senso suona come un alibi travestito da realismo.
1. Il recidivo “imprevedibile”
L’autore parla come se fossimo di fronte a un evento casuale, un lampo nel sereno. Ma Vincenzo Lanni non è un caso isolato: è un recidivo, già condannato per aggressioni simili. Non era un alieno piombato a Milano ieri mattina, era un soggetto noto alle forze dell’ordine e ai servizi psichiatrici. Se davvero la sua pericolosità era nota, la domanda non è se l’episodio fosse “prevedibile”, ma perché nessuno abbia agito quando la comunità che lo ospitava lo ha allontanato. Il fatalismo non è una categoria giuridica.
2. Le pene proporzionate alla cecità
Sì, Lanni era malato dieci anni fa. Sì, ha avuto una condanna ridotta per questo. Ma un carcere non cura, e un certificato di parziale infermità mentale non è un lasciapassare per la libertà senza controllo. Servivano percorsi di cura obbligatoria e continuità assistenziale, non una pena che — come tutte le pene — finisce. Punire un malato con il carcere non è giustizia: è una pausa burocratica tra un delitto e il prossimo.
3. Il “tasso di rischio” come scudo dell’inazione
Invocare il “tasso di rischio delle società libere” è una formula elegante per dire che lo Stato ha fallito. Il rischio di essere accoltellati da un recidivo noto non è un rischio di libertà, ma di abbandono. Se lo Stato non cura i malati, non sorveglia chi è pericoloso, non protegge chi cammina per strada, a cosa serve il monopolio della forza che gli abbiamo concesso? Alla commemorazione delle vittime, forse?
4. Il cinismo spacciato per lucidità
Mettere sullo stesso piano una recidiva psichiatrica e un fulmine che abbatte un albero è il punto massimo del cinismo: una negazione attiva della responsabilità pubblica. Non è la natura, è la politica che ha deciso di non vedere. Di non investire, di non coordinare, di non curare. E di raccontarci poi che “poteva succedere”.
E sì, si sa: la sinistra è così. Se fallisce lei, è un caso. Se fallisce chiunque altro, è una colpa incancellabile.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.