La decisione del TAR Milano n. 3348/2025, pubblicata il 21 ottobre 2025 (Sez. V), offre una risposta lapidaria: chi firma l’atto risponde anche degli strumenti usati per redigerlo.
Il Collegio ha respinto il ricorso dei genitori di un’alunna non ammessa alla classe successiva e, soprattutto, ha trasmesso la sentenza all’Ordine degli Avvocati di Milano per le valutazioni di competenza, rilevando citazioni giurisprudenziali inesistenti.
Nella motivazione c’è un passaggio che fa scuola e che accende il dibattito.
In udienza il difensore ammette di aver citato “della giurisprudenza reperita mediante strumenti di ricerca basati sull’intelligenza artificiale” che hanno prodotto “risultati errati”, quelle che abbiamo imparato a chiamare “allucinazioni” ovvero risposte inventate, ma plausibili.
Il TAR non considera tale circostanza quale esimente, perchè la firma resta presidio di responsabilità e controllo umano, in linea con la Carta dei principi dell’Ordine di Milano (2024) sulla centralità della decisione umana.
Chi maneggia questi strumenti sa che a volte “scrivono bene cose false”.
Perché seducono? Perché riempiono i vuoti con frasi coerenti, soprattutto quando il prompt (la consegna) è ambiguo o quando si cerca “il precedente perfetto” a tutti i costi.
Ma il processo non tollera scorciatoie narrative.
La domanda allora è: quanto siamo alfabetizzati a questa nuova prosa automatica? Sappiamo distinguere l’eloquenza dalla prova?
Siamo pronti a dire “non lo so” ad un testo che suona benissimo?
Considerando le sentenze dell’ultimo mese (Tribunale di Torino, Tribunale di Roma, Tribunale di Latina a cui si aggiunge quello del TAR Lombardia) rispondo di no.
Allora che cosa chiede davvero questa decisione agli avvocati? Alfabetizzazione di metodo.
Non “saper usare un tool”, ma saperlo mettere al suo posto: dopo — non al posto — del controllo umano.
Avv. Simona Maruccio

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.
