Esistono studi scientifici che, ufficialmente, non esistono. Nel campo dei gender studies è una antica tradizione. Ma questa storia, più di molte altre, dimostra che quando si parla di “scienza” in riferimento all’industria del cambio di genere (perché il sesso è congenito e non modificabile) non si può parlare sul serio. In termini brutali la vicenda è questa: riporta il New York Times che la dottoressa Johanna Olson-Kennedy nel 2015 abbia intrapreso uno studio su 95 bambini (parliamo di un’età attorno agli 11 anni) fornendo loro bloccanti della pubertà, a seguito di una diagnosi di disforia di genere. La disforia di genere è un disturbo che porta a percepire come errato il proprio corpo rispetto la genere percepito. Mi sento uomo, se vedo il seno crescere mi sento in forte disagio. Di questi 95 bambini, circa un quarto avevano gravi stati ansiosi e alcuni manifestavano ideazioni suicide.
Lo studio serviva per confermare uno studio Olandese su cui si basa questa pratica, che serve a “dare più tempo” a bambini con disforia di genere diagnosticata prima che i caratteri sessuali secondari si sviluppino per decidere chi vogliano essere davvero. In teoria gli effetti indotti sono reversibili, in pratica ci sono gravi rischi associati, come problemi ossei oppure sterilità.
Lo studio, però, non è mai stato pubblicato ufficialmente. Perché? Intervistata dal NYT la dottoressa ha affermato che, non essendo stati visti miglioramenti nei 95 piccoli martiri (inclusi evidentemente quelli con pensieri suicidi), qualcuno si sarebbe potuto formare la convinzione che fornire farmaci comunemente usati nella castrazione chimica dei pedofili a dei bambini perfettamente sani (ci torneremo dopo) sia una pratica anti scientifica. Disumana. Ignobile, magari. Quindi, piuttosto che dare questa soddisfazione a chi vorrebbe farle smettere tale pratica (da lei adottata da 17 anni), si rifiuta di pubblicare lo studio. Finanziato, con soldi pubblici, dall’istituto sanitario americano (NIH). A questo punto i suoi colleghi hanno cominciato a sollevare delle obiezioni. E la stampa ha indagato. Alla domanda, molto semplice, “perché non si sono visti risultati?” la dottoressa, serafica, ha risposto: “beh ma in media stavano bene e sono stati bene anche dopo”.
Questa risposta è atroce per tre motivi: 1. Se stavano bene, perché bloccare il corso della loro pubertà? 2. Che cosa si intende per “stare bene”? 3. Fosse anche tutto vero, perché non pubblicare uno studio costato quasi dieci milioni di dollari?
La dottoressa risponde alla seconda e terza domanda: i bambini IN MEDIA stavano bene. IN MEDIA. Certo, QUALCUNO deviava dalla media. Questo è un bruttissimo vizio degli studi in materia, rimane nella memoria lo studio del 2023 che ha dimostrato come gli ormoni dell’altro sesso abbiano migliorato la vita IN MEDIA di un campione di giovani (di età maggiore rispetto a quelli trattati dal Johanna Olson-Kennedy). Con il piccolissimo dettaglio di due suicidi nello studio su 315 adolescenti. Un numero, ci informa il NYT “molto maggiore della media nazionale”. Ma, ehi, IN MEDIA, lo studio ha dimostrato il funzionamento della terapia ormonale. Sul perché, invece, non siano ancora stati pubblicati i dati disponibili la risposta è che, oltre ai 9,7 milioni già ricevuti, ce ne volevano altri.
Naturalmente il problema è un altro. Ovvero che la teoria dei bloccanti della pubertà, sostenuta da medici olandesi, è nota per una lunga serie di tentativi che, riprodotto lo studio, non riescono a riprodurne i risultati. Ad esempio, ci provarono gli inglesi nel 2011: nel 2015 venivano diffusi in un convegno i primi dati: tutti negativi. Lo studio definitivo è stato tenuto in un cassetto fino al 2020. Questo scandalo ha generato il famoso Cass Report, che ha fermato l’utilizzo dei bloccanti della pubertà in Inghilterra fino a quando qualcuno non riuscirà a riprodurre i risultati olandesi.
Negli USA, invece, la questione finirà sotto silenzio fino alle elezioni. Poi molto dipenderà dai risultati. Di certo, possiamo dire con serenità che questa ha smesso da un pezzo di essere scienza. Assomiglia molto di più al metodo Lysenko, che rifiutando la genetica di Mendel, in quanto “razzista”, costò all’URSS qualche decennio di carestie. Non è un caso se le ideologie comuniste, partite ad adorare la scienza come antidoto alla “superstizione” dei credenti finiscano nell’idolatrare degli apprendisti stregoni.
Cento anni fa lo facevano nell’agricoltura. Oggi, con molta più ambizione, lo fanno nella cura dei bambini più fragili. I risultati, ahimé, non sono invece cambiati.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.