Il caso della “lista stupri” scoperta sui muri dei bagni del liceo Giulio Cesare di Roma ha riportato al centro del dibattito nazionale il tema della violenza giovanile e del fallimento educativo. Questa lista, contenente nomi di studentesse e frasi profondamente offensive, per lo psichiatra Paolo Crepet non è affatto un episodio isolato, ma è invece uno specchio dei problemi più profondi che affliggono tanto la scuola quanto la famiglia.
Intervistato dal Messaggero, Crepet spiega che non c’è motivo di sorprenderci, richiamando ricordi personali: certi comportamenti, dagli insulti alle scritte oscene, si vedevano già sessant’anni fa quando era studente. La differenza, cruciale, è che “Allora non ci illudevamo di essere evoluti. Oggi sì”. Per lo psichiatra, la scritta non è il problema in sé, ma il sintomo di un fallimento degli adulti e del sistema che li ha formati. È inutile scaricare la colpa esclusivamente sugli studenti se nessuno si è assunto la responsabilità di insegnare loro la sensibilità verso i diritti altrui e l’inclusione.
Crepet liquida rapidamente il concetto di “Generazione Z”, definendola “un’etichetta comoda” che maschera la realtà. Si danno per scontati valori come l’apertura e il rispetto, ma, sbotta lo psichiatra, “sulla base di cosa? Di slogan? Di date di nascita? Conta ciò che fai, non l’anno in cui sei nato”. Il vero nodo, per lui, non è anagrafico, ma risiede nell’assenza di limiti e di responsabilità condivise.
Il cuore della critica di Crepet si concentra sulla reazione degli adulti. Di fronte a episodi come quello del Giulio Cesare, la domanda che pone con forza è: “Quando questi ragazzi vengono chiamati a rispondere delle loro azioni, che cosa dicono i genitori? È una ragazzata? È questo il vero scandalo“. Lo psichiatra punta il dito contro i genitori, descritti come “padri e madri pavidi, incapaci di assumersi la responsabilità educativa” che tendono a difendere, giustificare e minimizzare. Questo atteggiamento, conclude, è ciò che porta i ragazzi a crescere “senza freni e senza coscienza”.
Infine, Crepet smonta anche la facile accusa ai social media. Questi strumenti “non creano il male, lo amplificano. Sono come le piazze di una volta, ma cento volte più rumorose”. La colpa è di un mondo che, anziché leggere Leopardi o Pasolini, è violento e superficiale, e i social media non fanno altro che fargli da megafono. L’incoerenza maggiore, sottolinea, è quella dei genitori che li considerano pericolosi, ma poi li regalano ai figli alla prima occasione.
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