Sabato notte, viale Monza. Un ciclista boliviano, trent’anni, pedala contromano nel lungo stradone che da piazzale Loreto porta verso Sesto San Giovanni. Una pattuglia della Polizia Locale lo ferma per evitare guai peggiori, ma la situazione degenera: l’uomo rifiuta di dare le proprie generalità, reagisce con violenza, viene bloccato e arrestato per resistenza aggravata.
Il fatto è accaduto alle tre di notte, ma racconta qualcosa che va oltre l’episodio di cronaca. Racconta la fragilità e i limiti delle persone, anche quando si muovono su due ruote. Perché i ciclisti non sono né santi né simboli di un futuro radioso: sono esseri umani come tutti, capaci di sbagliare, di perdere la calma, di violare le regole.
Negli ultimi anni, la bicicletta è stata caricata di un’aura quasi salvifica: mezzo “verde”, “morale”, “alternativo” per eccellenza. Ma una società civile non si costruisce mitizzando un mezzo di trasporto, bensì pretendendo comportamenti responsabili da chiunque — automobilisti, pedoni, motociclisti o ciclisti.
Le piste ciclabili sono importanti, certo: riducono il traffico, migliorano la qualità dell’aria, rendono le città più vivibili. Ma restano semplicemente un modo diverso di muoversi, non una bandiera ideologica.
Riconoscere che dietro ogni manubrio c’è una persona, con i suoi limiti e i suoi doveri, è il primo passo per tornare a parlare di convivenza, non di fazioni su ruote diverse.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.
La pseudo mobilità debole in realltà è diventata sempre più prepotente.
Purtroppo però, sono rari i casi in cui le autorità intervengono e sanzionano questi soggetti che non hanno alcun rispetto delle regole di viabilità e del Codice della Strada. Poi mil.ano ‘abbonda’ di tolleranza e sovente coloro che devono vigilare girano la testa.
dall:altra parte…. È sacrosanto che venga posta una svolta nelle politiche ipocrite pseudo ambilantaliste e naziecologiste. E vale anche per gli oramai ‘distratti’ pedoni.