Venerdì 31 ottobre, alle ore 16, nello spazio di via Rizzoli 13/A del Lambretta, andrà in scena un incontro dal titolo «Come stiamo in piazza? Perché ci siamo statə?».
Dietro un’apparenza di “laboratorio + aperitivo”, l’iniziativa organizzata dal collettivo che occupa – o, come preferiscono dire, “gestisce” – l’ex spazio Mutuo Soccorso, mostra con chiarezza la sua natura: una riunione politica vera e propria, ospitata in un immobile comunale concesso a canone irrisorio. Il tema, dichiarato nel post di convocazione, è esplicito: “Le ultime mobilitazioni in tutta Italia e qui a Milano hanno portato numeri altissimi… la marea di gente che ha attraversato la nostra città ha chiesto la fine del genocidio a Gaza”.
Un linguaggio militante che si intreccia con quello della protesta radicale, e che si prepara a una nuova stagione di mobilitazioni.
Insomma: altro che spazio civico o culturale, come da concessione del Comune. Via Rizzoli 13/A è di fatto diventata la centrale organizzativa di un movimento politico che, da mesi, anima le piazze e guida cortei spesso segnati da tensioni e scontri.
Da Mutuo Soccorso a “quartier generale”
L’associazione Mutuo Soccorso Milano, formalmente titolare dello spazio, era nata come progetto di aggregazione e mutualismo. Ma oggi quel nome copre – nei fatti – la continuità del centro sociale Lambretta, più volte sgomberato in passato e al centro di procedimenti per occupazioni e manifestazioni non autorizzate.
Il Comune di Milano ha assegnato lo stabile di via Rizzoli 13/A con l’obiettivo di “regolarizzare” l’esperienza. In realtà, come questa iniziativa dimostra, l’assegnazione è servita a fornire una base logistica stabile per un gruppo che continua ad agire su un piano apertamente politico, con parole d’ordine e metodi incompatibili con il concetto di spazio civico condiviso.
Il silenzio del Municipio 3
A rendere tutto più grave è il silenzio del Municipio 3, che non solo non interviene per verificare il rispetto della convenzione, ma ha anche respinto la mozione presentata per chiedere lo sgombero della sede.
Un voto che equivale, nei fatti, a un via libera.
Mentre a Milano si moltiplicano gli appelli alla sicurezza, l’amministrazione consente che un locale comunale venga usato come sala riunioni per discutere strategie di piazza, con protagonisti spesso legati a inchieste o episodi di violenza nelle manifestazioni.
“Laboratorio + aperitivo”: il paradosso
Il tono ironico della locandina – “laboratorio + aperitivo” – non inganna. È un messaggio rivolto a un pubblico giovane e militante, con l’obiettivo di rinnovare la mobilitazione di piazza e “studiare” le prossime mosse.
Un paradosso: mentre molte associazioni culturali o sportive faticano ad accedere agli spazi comunali o devono pagare affitti pieni, qui si concede un bene pubblico a chi lo trasforma in una base politica permanente.
Una domanda semplice
Chi governa Milano non può fingere di non vedere.
Un bene comunale non può diventare il punto di ritrovo di un movimento che si dichiara “contro il sistema” e che ha già avuto in passato responsabilità dirette in disordini pubblici.
Il Municipio 3 deve rispondere di una scelta che, di fatto, favorisce la riorganizzazione di gruppi che hanno reso insicure le piazze della città.
L’invito, dunque, è a tornare a una gestione trasparente e imparziale degli spazi pubblici.
Milano non ha bisogno di “laboratori di piazza” in sedi comunali: ha bisogno di luoghi aperti davvero a tutti, non di nuove centrali del dissenso finanziate – involontariamente – dai cittadini.

Giornalista pubblicista, opera da molti anni nel settore della compliance aziendale, del marketing e della comunicazione.
I pagliacci della politica opportunistica del ‘facciamo ciò che vogliamo’. Il dissenso è sui ‘comodi’ loro.